Insegnamenti

Tudong

di Sister Ajahn Jitindriya

© Ass. Santacittarama, 2010. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Tradotto da Gabriella De Franchis
Tratto dal libro “Freeing the heart”, reperibile dal sito www.amaravati.org.

 

L’idea di andare in tudong evoca immagini e sensazioni

piuttosto romantiche e suggestive, almeno per me…. “Ah,

la vera vita errante!” Ma la realtà non è mai contenuta,

né pienamente rappresentata, in idee o percezioni,

rimane sempre sorprendente e sconosciuta.

NELLA PRIMAVERA DEL 1997 siamo partite in quattro per un viaggio di cinque settimane a piedi dal monastero di Amaravati, nell’Hertfordshire, nel Sud-Ovest dell’Inghilterra. Ajahn Siripanna, Sorella Uttama, Anagarika Joanne ed io stavamo andando a prendere residenza al monastero di Hartridge nel Devon e avevamo pensato che questo fosse un modo splendido per andarci, in linea con la Tradizione della Foresta e la sua pratica della questua.

Il viaggio comunque non è stato affatto tanto suggestivo. In teoria, concettualmente e con retrospezione filosofica….. forse sì…, però a volte è stato proprio alquanto duro – fisicamente, mentalmente ed emotivamente – ma, dopotutto, questo tipo di camminata (tudong) non è altro che questo. E’ come se si sgretolassero gli abituali “comfort” in cui ci siamo ritirati per potere contemplare il senso di solitudine che viene messo a nudo di fronte allo sconosciuto.

Questo ha anche molto a che fare con quanto concerne l’addestramento monastico: addestrare la mente ad essere più pienamente presente nella percezione nuda e cruda della vita creando la possibilità per intuizioni dirette nella vera natura delle cose. Nel fare questo ci accorgiamo di come la mente sia abituata a controllare e a manipolare le circostanze, sia in modo evidente che subdolo, nel tentativo di evitare il dolore e la mancanza di sicurezza, che fanno parte della vita. Ma, in effetti, nel fare così blocchiamo il nostro cammino verso la vera saggezza, la comprensione e la liberazione, e alla fine ci ritroviamo ingarbugliati in una rete di alienazione e disperazione. Quindi queste camminate sono una vera e propria pratica monastica e hanno lo scopo di approfondire la consapevolezza, di coltivare la fede nel nostro cuore, e di sviluppare qualità come la pazienza, lo sforzo, l’equanimità e la gratitudine. Dopo di che, bisogna anche dire che vengono affrontate con grande entusiasmo, come un’opportunità per uscire per un po’ dal monastero e godere la vita in aperta campagna!

Nel complesso la camminata è riuscita molto bene in quanto siamo sopravvissute e siamo arrivate nel Devon dove c’erano molte persone entusiaste per la nostra presenza. Siamo anche arrivate ancora amiche e di un umore abbastanza buono! In cinque settimane insieme (letteralmente 24 ore al giorno, fianco a fianco), ci sono stati, naturalmente e come previsto, alcuni momenti difficili, giacché ognuna di noi aveva i suoi momenti e i suoi stati d’animo. Infatti penso che nella vita in comunità gli aspetti più impegnativi per continuare ad essere onesti, e aperti e comunque responsabili, siano nelle relazioni interpersonali e nella comunicazione. Così c’è sempre molto da imparare. In primo luogo posso imparare su me stessa, sui miei modi e sulle mie strategie di comunicazione, ma anche sugli altri; imparare ad esprimermi più chiaramente e incondizionatamente e anche ad essere sempre più aperta, in modo onesto e incondizionato, alle menti degli altri e a tutti i tipi di stati d’animo.

Il ritmo della camminata è adatto a questo tipo di contemplazione. C’è il tempo per sentire la sofferenza ed essere con essa quando sorge, di trovarne la causa e l’origine per cercare di capirla e lasciarla andare. Stare sempre in cammino aiuta; si procede senza tornare indietro e senza aggrapparsi a quello che è successo prima, senza neanche sapere quello che succederà, conoscendo solo ogni passo così com’è e vedendo costantemente come tutte le cose che abbiamo immaginato siano pura proiezione, giacché non accadono mai, o solo raramente, come avevamo previsto.

Il primo Maggio, quando noi quattro siamo partite, il tempo era meraviglioso, faceva caldo e c’era il sole. Tutto il mese di Aprile era stato così. Avevamo sentito le previsioni che minacciavano l’arrivo della pioggia, ma continuavamo a sperare. Tuttavia, dopo solo due o tre giorni il tempo cambiò e per la maggior parte delle prime tre settimane c’era freddo, pioveva e il tempo non era tra i migliori per andare a piedi. Avevamo progettato di campeggiare all’aperto con i sacchi a pelo ma, spesso, siamo state costrette a chiedere rifugio nei fienili. Soltanto in un’occasione non abbiamo trovato quel calore, quella gentilezza e quella ospitalità che, a volte, sono stati notevoli.

I nostri cuori, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, venivano nutriti dalla gentilezza che incontravamo lungo la strada. Le notti fredde e umide, in cui non era possibile trovare un riparo o un qualsiasi luogo semidecente dove fermarci a dormire, quando dovevamo comunque continuare a camminare fino a che faceva buio, o anche oltre, dopo le 10 di sera, ci sono sembrate al momento molto tristi. Ma siamo sempre sopravvissute e al risveglio, con il nuovo mattino, la situazione non era poi così brutta come ci era apparsa la notte prima.

Dovendoci abituare al peso sulla schiena e al sovraccarico sui piedi, i primi giorni sono stati inevitabilmente piuttosto dolorosi. Ajahn Siripanna e io non avevamo avuto il tempo di prepararci fisicamente, così già sapevamo che la prima parte della camminata sarebbe stata dolorosa. Io avevo pure un paio di sandali nuovi. Sebbene, con il passare dei giorni ci sentissimo un po’ più in forma, non ci siamo mai sentite completamente nel pieno delle nostre forze fisiche. Persino l’ultimo giorno di cammino abbiamo dovuto lottare con la scarsa energia e con la fatica. Forse si trattava di un accumulo di stanchezza, visto che per molte notti non abbiamo potuto dormire a causa del freddo, delle scomodità, del dolore ai piedi, della spossatezza, o di tutte le cose messe insieme!

Leggendo queste sensazioni si può avere l’impressione che sia stato un percorso alquanto tremendo ma , in realtà, l’esperienza è andata bene. E’ stata così com’è stata, non c’era altra alternativa, quindi gli eventi, anche se non particolarmente piacevoli, sono andati tutti bene per esercitare la nostra pratica. Non siamo mai state in pericolo. Nonostante le difficoltà ci siamo accorte che la maggior parte del tempo nei nostri cuori c’era un senso di calma o una gioia tranquilla in tutta quella semplicità: non dovevamo pensare troppo, visto che ‘non avevamo pesi’ (tranne quello dei nostri zaini) e che eravamo in cammino. E’ stato un bene non avere

pianificato nessun incontro, così non abbiamo dovuto sottoporci a stress per coprire chilometri o darci delle scadenze che inevitabilmente sarebbero state difficili da rispettare. Potevamo riposare quando ne avevamo bisogno, e proseguire quando ci sentivamo pronte.

I primi giorni non sono stati molto buoni. Non era facile trovare acqua o un posto dove campeggiare e il paesaggio non era niente di speciale. Ma la cosa non durò molto perché quando entrammo nell’Oxfordshire, poi nel Berkshire e nel Wiltshire, la situazione cambiò completamente: il paesaggio era meraviglioso e le persone gentili, interessate e ospitali.

Siamo state in svariati tipi di situazioni: fienili, stalle, un caravan, per una notte ci hanno ospitato in una soffitta, nel bosco fitto, nei campi aperti, nella brughiera, in una striscia di terra tra dei fili spinati e un recinto elettrico (almeno il terreno era in piano, cosa spesso difficile da trovare!), su pavimenti di sale d’aspetto, in una chiesa in disuso, sul prato dietro una casa, in un giardino, in un porticato, in un campo da cricket, in qualche camera per gli ospiti, in un’Abbazia Cristiana, e per finire in un B&B! Abbiamo anche trascorso una notte in una Comunità Buddhista nel Devon. Oh, e una notte sulla spiaggia! Ma questa è un’altra storia.

A parte un invito a pranzo organizzato per il giorno dopo la nostra partenza da Amaravati, non avevamo fissato nessun altro incontro proprio perché volevamo affrontare ogni giorno così come veniva e andare avanti con fede. Ad Anagarika Joanna diverse persone avevano dato dei soldi che l’avrebbero aiutata a sostenerci lungo la strada e così, a volte, poteva offrirci del cibo, quindi non era un ‘tudong di fede’ totale, però siamo andate in giro per la questua ogni volta che abbiamo potuto, in varie città sulla strada e abbiamo sempre incontrato una risposta sorprendente da parte delle persone, quasi sempre abbiamo ricevuto molto più cibo di quanto noi quattro fossimo in grado di mangiare in quel giorno.

Il fatto che la gente di questi posti fosse così entusiasta di aiutarci è stato eccezionale. Non erano buddhisti e il più delle volte non sapevano che noi lo fossimo. Erano solo persone gentili, tutte felici di potere donare. All’inizio molti cercarono di offrirci dei soldi, ma noi spiegavamo con gentilezza che le nostre regole monastiche non ci permettevano di accettare o usare denaro. Questo lasciava sempre la gente sbalordita; alcuni non riuscivano a capire, altri si scusavano e altri ancora cercavano pure di convincerci che era giusto prendere i loro soldi. Quando poi capivano a cosa servivano le nostre ciotole dell’elemosina, le persone tornavano quasi sempre con del cibo.

Quando andiamo nei villaggi per l’elemosina, cerchiamo di metterci in un posto dove non diamo fastidio, ma da dove le persone passano e possono vederci, e rimaniamo lì in silenzio con le nostre ciotole. Non ci è permesso chiedere cibo, mendicare è contro il nostro addestramento. L’atteggiamento è più quello di rendersi disponibili a ricevere l’elemosina, giacché nella pratica buddhista la virtù della generosità è tenuta in grande stima e il coltivarla è di grande importanza per lo sviluppo del sentiero spirituale.

Essendo occidentali e in ogni caso non vivendo in una cultura buddhista, questa pratica dell’elemosina all’inizio può sembrare alquanto scomoda. Cresciute con idee d’indipendenza e di auto-sufficienza, provenienti per lo più da una classe media, abituate a cavarcela da sole, a non voler essere di peso per la società, stare lì con le nostre ciotole, indifese, esposte a qualsiasi cosa, all’inizio può essere imbarazzante. Non è facile imparare ad essere pienamente aperti e a ‘ricevere’ con tutto il cuore e incondizionatamente, ma ci aiuta a continuare a ricordarci con lucidità quello che stiamo facendo come monache buddhiste e che cosa veramente significa l’impegno verso questo tipo di pratica. Poi, ricevendo una risposta così positiva dalle persone, generalmente insorge una pace profonda.

Per me, e penso per tutte noi, andare in giro per la questua è stato il momento culminante della nostra camminata. Ricevere la generosità delle persone in questo modo è molto forte (specialmente nei paesi occidentali): la semplice interazione è una manifestazione toccante e commovente sia per chi dona che per chi riceve, è un segno profondo e forte nella psiche del sentiero, e il frutto della vita religiosa.

In quei momenti le sensazioni di gratitudine e di benedizione che scaturiscono dentro di noi sono ‘trascendentali’ e segnano un cambiamento. Più tardi, il ricordo di quelli che, in vari modi, ci hanno offerto ospitalità, ci sarebbe spesso tornato alla mente portando con sé una calda sensazione di gratitudine e un profondo e sincero augurio di bene nei loro confronti. Ed è ovvio che anche loro, come risultato del donare incondizionatamente, proveranno un senso di felicità. E quando si raccontano questi atti di generosità agli altri, si vede che una certa ‘magia’ funziona ancora, visto che le persone si meravigliano e sono contente quando sentono che è possibile vivere in questo modo, che ci sono persone generose, gentili e sincere dappertutto.

Dopo circa cinque giorni dalla nostra partenza, abbiamo cominciato a fare il giro della questua in un luogo che si chiama Wallingford. Faceva molto freddo e noi avevamo trascorso la notte in una chiesa in disuso (con il permesso). Siamo arrivate a piedi al centro della città e stavamo in silenzio con le nostre ciotole. La prima persona che si è fermata e ci ha offerto da mangiare sapeva che eravamo monache di Chithurst e Amaravati poiché c’era già stata un paio di volte.

La temperatura era calata durante la mattinata. Dopo avere ricevuto cibo in quantità più che sufficiente, con le dita blu e i denti che battevano, ci siamo dirette velocemente ad un parco dove eravamo passate prima, per consumare il nostro pasto. Poi, nevischio e neve sono cominciati a cadere sopra di noi, però abbiamo continuato a mangiare perché era quasi mezzogiorno (dopo quell’ora non potevamo più prendere cibo solido): le nostre priorità erano chiare!

Dopo siamo andate in una lavanderia, visto che per tutta la mattina avevamo scherzato sulla possibilità di dare una lavata alle nostre vesti (che a quel punto ne avevano proprio bisogno), e in quel momento, non sembrava un’idea tanto strana in quanto ci dava anche l’opportunità di sederci per un’ora con le spalle appoggiate ad una calda asciugatrice per ricevere calore e digerire il cibo. Il problema era che tutto quello che avevamo lo portavamo indosso! Ma con la gentile comprensione della donna che si trovava lì e con l’aiuto dei nostri fedeli impermeabili, l’operazione ha avuto successo. Tutte noi ricordiamo Wallingford come un luogo gentile nei nostri confronti.

Ci vollero quasi dieci giorni per raggiungere Avebury, un piccolo paesino molto noto a causa dei suoi grandi cerchi di pietra e di altri resti archeologici. Ma avremmo dovuto capire che non è uno dei luoghi migliori per trovare un posto dove campeggiare! E’ stata una delle notti più difficili per noi. Più tardi abbiamo scoperto che Lord Avebury è buddhista e crediamo di essere passate proprio dalla sua vasta proprietà almeno due volte in quella serata buia, piovosa e fredda, in cerca di un posto dove fermarci.

Anche il giorno e la sera successivi sono stati abbastanza piovosi. Durante il cammino siamo incappate in alcuni temporali e la nostra attrezzatura da pioggia stava cominciando a cedere. Però, fortunatamente, nel tardo pomeriggio è spuntato il sole e ci siamo asciugate. Nonostante la grande quantità di pioggia, abbiamo sempre trovato il modo di asciugarci prima della fine della giornata.

Quella sera abbiamo avuto dei problemi per trovare un posto adeguato dove stare – mentre la tempesta si scatenava cercavamo un fienile dove ripararci. Ci siamo dirette verso alcune costruzioni rurali che si vedevano in lontananza e ci siamo fermate per domandare ad una donna che si trovava fuori nel suo giardino, chi fosse il proprietario di quei fienili perché desideravamo chiedergli il permesso di trascorrere lì la notte. Lei ci ha indicato la casa del mandriano. Ci siamo avviate subito dirittamente verso il fienile mentre arrivava la tempesta e nel cielo è apparso un doppio arcobaleno di una luminosità fantastica … lo abbiamo visto come un buon auspicio.

Mi sono sentita in paradiso quando ho raggiunto il fienile e ho visto che c’era il fieno (calore!), un tetto decente e delle pareti e non c’erano mucche … promessa di un sonno asciutto e al riparo. Quando la pioggia è diminuita un poco, mentre due di noi stavano andando a chiedere il permesso per restare nel fienile, la donna con la quale ci eravamo fermate a parlare ci è venuta incontro. Ha detto che non poteva sopportare il pensiero che noi stessimo lì per la notte e che lei e suo marito (più due ragazzi) ci invitavano ad andare da loro. Più tardi ci hanno anche detto che quando ci avevano visto, quattro monache buddhiste per strada (veramente sembravamo più francescane, con quegli impermeabili con cappuccio lunghi e scuri), non gli era parso di poter credere ai loro occhi. Avevano una stanza libera nella mansarda e sono stati veramente molto ospitali con noi. Non erano particolarmente religiosi. Erano soltanto persone molto gentili e molto felici di potere offrire il loro aiuto.

E’ stato molto bello attraversare quei paesini tanto antichi e interessanti che ci sono capitati lungo la strada – quelli che non si andrebbero a visitare deliberatamente o dei quali non se ne conosce l’esistenza – perché ci capitavamo per caso mentre ci eravamo perse e cercavamo di venire a capo di una cartina vecchia di venti anni che mostrava sentieri inesistenti. Per fortuna non dovevamo raggiungere un luogo preciso! Quando ci siamo inoltrate più a sud ci è sembrato che il ritmo della vita fosse diventato più lento: le persone che incontravamo erano più aperte e calorose, spesso si fermavano a parlare con noi, curiose di sapere chi e che cosa eravamo.

Dopo quasi due settimane di viaggio, ci siamo fermate due giorni in un posto chiamato From e da degli amici del Sangha che ci hanno offerto ospitalità per riposarci e per lavarci. Abbiamo gradito molto questo intervallo durante il quale abbiamo potuto recuperare un po’ di energia. Dopo circa una settimana ci siamo fermate nuovamente per due giorni quando eravamo in prossimità del monastero. Poi, uscite da Exeter, ci siamo messe in cammino verso Dartmoor. Questo ultimo tratto della nostra camminata è stato organizzato un po’ meglio. Avevamo sentito che le previsioni del tempo davano ancora pioggia, così abbiamo pensato che fosse più saggio avere dei contatti a Dartmoor, perché avrebbe fatto troppo freddo lassù per dormire all’aperto. Ma quella settimana il tempo fu splendido … e noi ci siamo sentite piacevolmente sollevate.

Dartmoor è un posto bellissimo da visitare a piedi. Disseminati qua e là ci sono antichi cerchi di pietre, insediamenti, e il paesaggio è proprio magico. Non credo di essere capace di descriverlo. Soprattutto lo spazio: i verdi pascoli erano disseminati di rocce di tutte le forme e grandezza, collinette rocciose e tumuli evocavano la sensazione di un passato di potenza e mistero contro un cielo strepitoso, senza tempo. I poni del Dartmoor, i montoni e le pecore sono di casa qui. Le sorgenti d’acqua chiara sgorgano in ruscelli e scendono serpeggianti verso i fiumi. Ci sono zone con piccole foreste e il terreno a volte può diventare fangoso all’improvviso. Ma se il tempo cambia il luogo può diventare molto pericoloso – a quanto pare a Dartmoor i soccorsi sono intervenuti diverse volte. Però noi abbiamo avuto il sole per tutto il periodo!

Abbiamo passato circa tre giorni e tre notti proprio a Dartmoor, per due notti presso amici in posti meravigliosi e magici e per una notte ci siamo accampate fuori. Proprio il mattino seguente, mentre eravamo sedute attorno al fuoco da campo e assaporavamo una tazza di tè nel bel mezzo del nulla, lentamente, assuefacendoci al paesaggio della brughiera, improvvisamente sulla collina apparve uno squadrone di una quarantina di uomini armati di tutto punto con zaini sulle spalle e fucili sotto braccio, che correvano alla carica incitati dalle urla furiose di un comandante.

Sembrava che corressero sotto tortura, dentro quegli stivali neri e duri (alcuni zoppicavano). Credo che siano stati molto sorpresi dalla nostra presenza (probabilmente ai loro occhi eravamo come delle Coccinelle – ragazze scout – un po’ cresciute) e dovevano passare di corsa proprio vicino a noi se volevano evitare i pantani. Alcuni di loro guardavano il gruppetto tranquillo e il té fumante con un certo desiderio, altri erano ovviamente interessati ai nostri sacchi a pelo (stile militare, ancora aperti per terra!).

“Tenetevi lontani da loro, signori” gridò il comandante e noi siamo rimaste a guardarli in silenzio mentre correvano alla carica verso il fiume e poi sulla collina vicina. Quando il frastuono delle manovre si fu disperso nel silenzio, ci siamo guardate e ci siamo messe a ridere per le sensazioni che quella scena surreale aveva lasciato in noi.

Dopo una ventina di minuti, dalla cresta della stessa collina spuntò un altro squadrone. Non c’eravamo mosse per niente e abbiamo guardato di nuovo svolgersi la stessa scena. Era per caso il ‘take-two’ di una delle scene di Monty Python? Però questo gruppo sembrava un po’ più pimpante e d’umore migliore …

“Buon giorno, signore! Siete proprio una bella scenetta!” Sembravano molto interessati mentre passavano correndo.

“Da quanto tempo siete fuori?” chiesi.

“Questo è il quarto giorno. Siamo al nostro ottantanovesimo miglio.”

Mmh, impressionante … noi le cose le prendevamo sicuramente più alla leggera con le nostre dieci, dodici miglia al giorno! Strano! Le persone credono che la nostra vita sia troppo dura, ma anche loro fanno la stessa cosa e di loro spontanea volontà! Non era passato molto tempo che un’altra truppa spuntò alla carica da un’altra collina, ma andò verso un’altra direzione e noi capimmo che anche per noi era arrivato il momento di metterci in cammino.

Per diversi giorni abbiamo camminato in direzione della costa, poi da Dartmouth abbiamo preso il ventoso sentiero lungo la costa verso Torcross. Abbiamo passato le nostre ultime notti all’aperto all’estrema punta isolata di Slapton Sands. Forse vi ricordate la storia di questo posto … dove le truppe alleate si sono preparate per il D-Day che, alla fine, risultò una tragedia. Due navi distrutte e molte vite perdute in manovre confusionarie. Tutti i villaggi nel raggio di miglia, erano stati evacuati per fare queste operazioni in segreto.

Comunque, al crepuscolo andavamo barcollando verso la punta estrema di questa spiaggia di ciottoli, esauste (almeno io), per trovare la nostra privacy in un posticino vicino le rocce. Era bello essere lì: bel tempo, nessuna preoccupazione di proprietà privata, di accendere un falò o di fare rumore, e con la sabbia abbastanza comoda … (finalmente, un piano regolare!); addormentarsi e risvegliarsi al suono delle onde che s’infrangono sulla spiaggia a circa cinquanta metri più in là. La mattina seguente non ci siamo alzate presto; per arrivare a casa del padre di Joanne in tempo per il pranzo dovevamo fare solo poche miglia, quindi ce la siamo presa comoda dopo la colazione e per un po’ ci siamo godute la solitudine e l’atmosfera tranquilla.

Verso le otto e mezza sulla collina spuntarono delle persone che arrancavano verso di noi. I “tipici British”, abbiamo pensato, muniti di frangivento sotto il braccio, magari non un giorno ideale da spiaggia, ma il sole era alto ed era l’inizio di un lungo weekend. Ma perché fare un simile sforzo e arrancare sulla salita verso questa estremità piena di ciottoli? C’era un sacco di spiaggia disponibile, quasi cinque miglia.

Presto spuntarono altre persone e quando un uomo abbastanza appesantito e sua moglie, che si erano sistemati a pochi metri di distanza da noi, si spogliarono completamente, iniziammo a renderci conto di che cosa rendeva questa parte della spiaggia così attraente. Quando l’uomo cominciò ad arrancare in su e in giù offrendo orgogliosamente all’aria la sua nuda gloria proprio davanti a noi, capimmo che era ora di andare. Fu una sensazione molto ridicola avvolgersi sulle spalle la veste scura, tirare su gli zaini e, coperte dalla testa ai piedi, passare accanto a tutti questi corpi ‘amanti della natura’!

Un paio di giorni dopo siamo arrivate a destinazione, a Totnes, dove Ajahn Siripanna avrebbe fatto una conferenza pubblica in un collegio/comunità buddhista che si chiama Sharpham.

Dopo la conferenza, ci hanno dato un passaggio al monastero per cominciare a sistemarci e a organizzarci. C’era un monaco che ci aveva aspettato per la cerimonia della consegna delle Reliquie e che partì due giorni dopo, gli altri monaci erano partiti prima. Ci siamo tutte sentite subito a nostro agio come a casa e apprezzavamo molto il fatto di avere di nuovo dei letti sui quali dormire e un bollitore elettrico. In quelle cinque settimane, se non altro, abbiamo guadagnato una comprensione sincera e profonda del perché la razza umana ha cominciato a stabilirsi in case e a creare cose come il riscaldamento centralizzato!

Però il viaggio in realtà non è finito – solo che ora non abbiamo lo zaino in spalla e non cambiamo posto, ma cerchiamo di mantenere lo spirito del tudong: non rimanere bloccati in un posto, non lottare con le cose che sono destinate a cambiare, coltivare la fede nel cuore e il potere della rinuncia; accompagnati dalla certezza che la sola vera stabilità è il non-attaccamento.

Evam