Insegnamenti

Emozioni mature

del venerabile Ajahn Vajiro

© Ass. Santacittarama, 2016. Tutti i diritti sono riservati.
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Tratto dal Forest Sangha Newsletter, January 1995, n. 31

Negli insegnamenti del Buddha si parla di brahmavihara, termine che di solito si traduce con ‘dimore divine’, o celesti. Questa è la traduzione letterale: Brahma – divinità, e vihara – dimora. E’ possibile portarle dal cielo alla terra considerandole come emozioni che motivano e incoraggiano al superamento dei limiti dell’ esistenza umana. ‘Superamento dei limiti’ è un modo per definire la crescita. Per il nucleo di quest’idea sono debitore a un amico che mi ha fatto notare come i brahmavihara possano essere considerati emozioni mature. Quelle che seguono sono alcune riflessioni su questa linea, rimandando per un’analisi approfondita a un qualunque manuale sul Buddhismo.

Le emozioni, mi pare chiaro, sono forze motivanti. Io tendo a vederle come qualcosa che provoca, che innesca o che spinge al movimento; a un’azione verso o contro un oggetto o una situazione. Noi ci muoviamo e agiamo attraverso il corpo, il linguaggio o la mente e quel movimento è la risposta che possiamo notare al primo insorgere di un’emozione. Prima del movimento c’è la stimolazione dei sensi, ossia il contatto. Da ciò deriva la sensazione, poi la percezione; è quest’ultima che si combina, o si collega, con le emozioni mature. Nella lingua Pali non c’è un termine che corrisponda esattamente alla parola ‘emozione’. Un’emozione è una miscela di sañña (percezione) e sankhara (modello abituale) – tutti fattori che possono essere deliberatamente educati. Le emozioni mature rappresentano la risposta, e la motivazione all’azione, della persona matura. A volte l’obiettivo del Buddhismo viene descritto in termini che mi fanno credere che ciò a cui si aspira è un cuore freddo senza emozione e senza passione – niente risposta, niente sensazione, niente desideri, niente motivazione. Ciò contrasta nettamente con l’immagine del Buddha come persona dotata di una forte motivazione, una forte compassione, a vivere una vita che fosse di massimo beneficio per tutti gli esseri.

Le emozioni mature sono inoltre quelle emozioni che consentano agli altri di maturare. Dimodochè, quando una persona agisce o risponde con un’emozione matura, ciò aiuta altri esseri umani a trascendere o superare i propri limiti. Può sembrare astratto; eppure, se pensiamo a come i genitori possono facilitare la maturazione dei figli, ciò avviene attraverso l’espressione di emozioni mature.

Le quattro emozioni ‘maturanti’ di cui parliamo si scoprono all’atto pratico intimamente collegate, separarle serve solo all’analisi e al chiarimento. Sono come aspetti che ci aiutano a riconoscerli meglio e dunque a esprimerle, a entrarci in relazione, nella nostra vita.

La gentilezza – metta – generata in noi ci consente di accettare noi stessi e gli altri, e quindi di comprendere noi stessi e gli altri. Comprendere richiede saggezza. E la saggezza è il mezzo che ci permette di trovare la via per superare, per lasciare andare, ciò che limita e incatena il cuore. La gentilezza espressa all’altro lo mette in grado di accettare se stesso e le altre persone.

Si tratta di un’accettazione viscerale, sentita, che consente alle azioni del corpo, della parola e della mente con cui si risponde a ciò che percepiamo come ‘altro’, di essere gentili, ossia non motivate da antipatia, non motivate da avversione o da paura. La sua portata è senza limiti. Metta è espansiva e attraente, riscalda i freddi e calma gli eccitati.

La compassione – karuna – lavora. Lavora per noi, consentendoci di percepire chiaramente il dolore, l’angoscia, l’afflizione, l’agonia, il tormento e l’ansia degli altri facendo spazio a tutto questo nella nostra stessa esperienza. E’ dunque qualcosa che si è lasciata alle spalle la dimensione dell’ignorato o dell’inconscio per entrare in quella dell’incluso, dell’accettato, del conscio. La compassione è spaziosa, poiché consente alla realtà delle cose di esistere, di cambiare, e di cessare. In particolare, consente al dolore di cessare. Ciò significa che deve essere paziente, che non ha fretta di far finire il dolore per forza o di cercare di eliminarlo meccanicamente. E’ il volto attivo della saggezza, l’agente purificatore per eccellenza. La compassione fece capire al Buddha che un essere completamente illuminato ha ancora da fare. Fu la compassione che lo motivò a insegnare ‘per il bene di coloro che hanno poca polvere negli occhi’.

La carità è un modo per parlare della compassione, un termine non molto in voga ma che evoca la qualità di un cuore che è disponibile a farsi carico dei problemi dell’altro, che è disponibile ad aiutare sempre al meglio delle proprie capacità, a prestare ascolto a una richiesta di aiuto e ad agire. La ‘richiesta’ può non essere esplicita. Può essere qualcosa di molto ordinario come pulire un locale dopo una riunione o allestirlo prima che cominci. Ogni qualvolta notiamo che il nostro aiuto sarebbe gradito e siamo disponibili ad agire per darlo, pratichiamo karuna.

Di solito il termine mudita viene tradotto con ‘gioia simpatetica’, espressione che a me dice poco. Le suggestioni implicite in parole come ‘simpatia’, ‘-patetica’ e ‘gioia’ evocano una miscela dal gusto improbabile. Simpatia e gioia sembrano andare d’accordo. E’ l’aggiunta di quel ‘-patetica’ per allitterazione che stona. Apprezzare, provare gioia, rallegrarsi e rallegrare sono parole che evocano a parer mio le qualità del cuore che sono opposte all’invidia e alla gelosia; l’opposto di qualità che desiderano trascinare l’altro a un livello più basso.

Mudita presuppone una piena coscienza. Dobbiamo sapere discriminare, essere coscienti, per aprirci alla possibilità dell’apprezzamento. Qui l’accento è posto in particolare sull’essere coscienti della bontà, del valore e della saggezza degli altri. La funzione di mudita è favorire l’aspirazione a fare o essere altrettanto. Luang Por Sumedho ha detto che ci lasciamo toccare da mudita quando sappiamo apprezzare la bellezza di una rosa in fiore. L’implicazione è praticare a tutti i livelli. A volte guardando una rosa possiamo farci prendere dal cosiddetto ‘realismo’ e limitarci a constatare che prima o poi la rosa appassirà; una specie di brontolìo alla zio Paperone, una reazione stizzita al suggerimento che la bellezza possa essere apprezzata senza cadere nel desiderio di possederla o di aggrapparvisi. L’equilibrio è assicurato dalla presenza di upekkha.

Upekkha – di nuovo, prima la traduzione più diffusa: equanimità. Io preferisco ‘serenità’, che suggerisce la possibilità di accettare il limite per andare oltre. L’espressione “essere sereni nell’unità delle cose” mi ha sempre colpito come un bell’invito al mio cuore di fronte alla frustrazione per i ritmi della vita; per i limiti dell’universo o per i limiti miei e degli altri. Dev’esserci un’accettazione consapevole del limite intrinseco alla realtà delle cose, perché il cuore possa imparare a trascenderlo.

A livello pratico, se voglio imparare a dattilografare devo innanzitutto accettare il fatto che attualmente non ho la capacità di dattilografare; solo allora potrò fare uno sforzo onesto per esercitarmi a coordinare le dita e gli occhi perché funzionino in modo automatico. Se non sono disposto ad accettare che in questo momento tale capacità è assente, e insisto a voler dattilografare, potrò fare finta, ma in realtà l’unico che sto prendendo in giro sono proprio io. Facciamo lo stesso su scala più vasta quando ci piacerebbe essere persone mature e realizzate e siamo incapaci di accettare i nostri limiti attuali. Allora possiamo fingere di essere maturi quando di fatto non ci sono chiare le nostre vere emozioni e intenzioni, e quindi ci lasciamo guidare da emozioni immature e dannose. Se si tratta di dattilografia, poco male; ma nel caso di qualcuno che finge con se stesso e con gli altri di essere adulto, il pericolo per entrambi è ovviamente maggiore.

I quattro brahmavihara operano di concerto. Secondo Ajahn Buddhadasa, upekkha ha la funzione di sovrintendere alle altre tre. In circostanze belle e positive la motivazione matura del cuore è mudita. Quando è possibile, possiamo alleviare una situazione dolorosa o difficile invocando la compassione. Una situazione spiacevole o brutta richiede metta. L’accettazione, un aspetto di metta, trova riscontro nell’accettazione dei limiti implicita in upekkha, il che spiega perché metta è un punto di partenza così importante.

Per la maggior parte di noi, e perfino per gli animali, la prima emozione che ci consente e consente agli altri di crescere e maturare è metta, così come si esprime nell’accettazione del bambino da parte della madre. Se non viene espressa metta ai piccoli, in particolare ai piccoli umani, essi sono destinati a morire presto o a diventare in seguito individui molto disturbati e immaturi. E’ dunque la motivazione primaria che consente ai giovanissimi di maturare. Il bambino la esprime nel suo protendersi per esplorare l’ambiente circostante. Egli raccoglie ogni sorta di oggetti indiscriminatamente e, con orrore degli adulti, se li mette in bocca. Con questa azione il bambino esprime un livello primitivo di accettazione e di non discriminazione che opera nel momento in cui egli comincia a protendersi verso l’altro da sé.

La compassione ci consente di prendere atto dei cambiamenti e dell’evoluzione impliciti nel passaggio dalla prima infanzia alla fanciullezza, all’adolescenza, all’età adulta e alla vecchiaia, nonché del dolore della separazione dal noto che è parte di questo processo, permettendoci di tollerare il cambiamento con piena coscienza. Mudita ci permette di godere la vita. La bellezza e la meraviglia di questa strana esperienza di essere un’esistenza sensibile e separata, in qualche modo connessa misteriosamente a tutto il resto. E quando la paura dell’ignoto è lasciata cadere completamente, si può apprezzare e gustare la meraviglia dell’inconoscibile.

Ciò che ci fa procedere nella vita, attraverso le incertezze e i cambiamenti, è ciò che può offrire una qualche misura di libertà. Sono le nostre intenzioni a farci muovere nella vita, e le intenzioni sono il teatro della nostra più grande libertà. Adoperare ed esercitarsi a questa libertà con saggezza spetta a ognuno di noi.

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