Insegnamenti

L’essenza dell’insegnamento del Buddha

del venerabile Ajahn Tiradhammo

© Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Federico Pietrangeli.

Un’antologia di citazioni commentate delle Scritture, Maggio 2003.

Prefazione

Questo testo è la prima parte di un più ampio progetto, in corso di compimento, di un’antologia di citazioni dalle Scritture, accompagnate da commenti, per esporre il Cammino della pratica spirituale buddhista. Il progetto culminerà forse in un libro. Man mano verranno aggiunti nuovi testi, mentre quelli già presenti potranno essere modificati. Le traduzioni, ove non diversamente indicato, sono mie. (1)

Introduzione generale

I brani riportati in questo testo sono tratti dal Canone Pali, cioè dalle Scritture giunte fino a noi in lingua pali e riconosciute dalla tradizione Theravada, o Scuola Buddhista Meridionale. “Anche se alcune parti di queste Scritture sono chiaramente successive al Buddha, molte parti sono antiche e si possono far risalire al periodo della vita del Buddha o a un periodo immediatamente successivo”. (2)

Subito dopo la morte del Buddha, i componenti più anziani del Sangha si riunirono in un Concilio per raccogliere e recitare un corpo di insegnamenti chiamato “Dhamma” e “Vinaya” [Vin., II, 284ss.]. Successivamente si tennero almeno altri due importanti concili: il primo cento anni dopo la morte del Buddha [Vin., II, 294ss.] e il secondo 236 anni dopo la sua morte, durante il regno di Asoka, intorno al 250 a.C.. In questi concili più recenti, il “Dhamma-Vinaya” fu recitato ancora una volta e vi furono aggiunte altre parti: la storia del secondo concilio fu ad esempio aggiunta al Vinaya Pitaka, mentre il Kathavatthu, scritto dal “Presidente del terzo Concilio”, il Venerabile Tissa Moggaliputta, fu aggiunto all’Abidhamma Pitaka(3)

 

PARTE I: IL BUDDHA

Introduzione

Storicamente, la religione conosciuta come Buddhismo si fa risalire al Buddha, “il Risvegliato”, che si ritiene sia vissuto nell’India del Nord dal 563 al 483 a.C. (4). La tradizione buddhista canonica, comunque, colloca gli insegnamenti del Buddha ben al di là della sfera di una particolare figura storica. Si cita in particolare un passaggio in cui il Buddha dice di aver “trovato il cammino antico, il sentiero antico, già percorso dai Completamente Illuminati del passato” (5). I testi più antichi forniscono inoltre dettagli sulle vite di sei Buddha precedenti, vissuti in epoche più remote, e di un Buddha del futuro. (6)

Nel Canone Pali non c’è una biografia completa del Buddha. Alcuni passaggi forniscono descrizioni (auto)biografiche di una certa lunghezza su determinati momenti della sua vita [M., sutta 26; D., sutta 16], mentre altri frammenti biografici sono disseminati un po’ per tutto il Canone. E’ peraltro significativo che si trovino parecchie differenze, riguardo alla vita del Buddha, tra i testi canonici “antichi” e i testi “recenti” e post-canonici. In particolare i testi più recenti tendono maggiormente a ritrarre il Buddha come un essere soprannaturale, con qualità esemplari, impreziosendo la sua vita con episodi miracolosi. (7)

Va comunque considerato che questi testi contengono un misto di materiali storici, mitici, allegorici e metaforici. Il fatto che alcuni racconti non corrispondono alla nostra idea di verità storica non significa che siano necessariamente di pura fantasia, perché possono avere un significato allegorico. Possono ad esempio rientrare in questa categoria gli eventi prodigiosi che circondano la nascita e la morte del Buddha. Joseph Campbell fa un’osservazione importante, quando sottolinea “la stretta relazione che in Oriente è sempre stata mantenuta tra mito, psicologia e metafisica”. (8)

Mentre è difficile (se non impossibile) separare completamente i materiali “antichi” dai materiali “recenti” nel nucleo centrale del Canone Pali, è possibile individuare alcuni dei testi più recenti. Così il Nidânakathâ, l’introduzione al Jâtaka, “è il tentativo più antico, in Pali, di fornire una coerente storia della vita del Buddha” (9). Questo testo, che pure contiene materiale molto antico, si può far risalire a non prima del V secolo d.C. (10). Contiene dettagli biografici di un arco temporale molto esteso: dalle vite passate del Buddha fino alla donazione del Monastero di Jetavana, nei primi anni dell’insegnamento del Buddha [J., 1-95]. Il testo ha dunque sintetizzato alcuni dei materiali contenuti in varie parti del Canone (11). Tre sutta nel Sutta-nipata [Sn., 405 ss.; Sn., 425 ss.; Sn., 679 ss.] sono descritti come “preziose vestigia di quegli antichi poemi spirituali”, che “sono ricchi di aspetti leggendari e di elementi mitici”. (12)

Occorre forse anche ricordare che i “testi” erano in origine conservati oralmente. Quindi, per poterli ricordare più facilmente, essi contenevano un certo numero di ripetizioni. Queste talvolta non si accordano perfettamente alle situazioni cui si riferiscono: vedi per esempio, al numero 4, quando si dice che la madre del Buddha pianse quando Egli lasciò la casa familiare, mentre in un altro passaggio si dice che sua madre morì subito dopo la sua nascita [M., III, 122]

Può sembrare strano che le scritture buddhiste più antiche registrino molto poco della vita del Buddha. Ma in realtà è comprensibile che coloro che vivono accanto ad un maestro siano molto più interessati al suo insegnamento che ai dettagli della sua vita.

1. “Ero delicato, molto delicato, estremamente delicato. Laghetti con piante di loto erano stati creati per me, nella casa di mio padre, per mio esclusivo diletto. In un laghetto fiorivano loti di colore blu, in un altro loti bianchi, in un altro ancora loti rossi. Non usavo legno di sandalo che non fosse di Benares. Il mio turbante, la mia tunica, la mia veste e il mio mantello erano tutti fatti con tessuti di Benares. Un parasole bianco mi proteggeva giorno e notte, in modo che né il freddo, né il calore, né la polvere né la sabbia né la rugiada mi potessero recare disturbo.

Avevo tre palazzi (13): uno per l’inverno, uno per l’estate ed un altro per la stagione delle piogge. Nel palazzo della stagione delle piogge ero intrattenuto da menestrelli, esclusivamente di sesso femminile. Per i quattro mesi della stagione delle piogge, non andavo mai nel palazzo più basso. E mentre normalmente, nelle case degli altri, ai servitori e ai dipendenti viene dato da mangiare riso spezzato e zuppa di lenticchie, nella casa di mio padre veniva dato loro riso bianco e carne” [A., I, 145, adattato da LoB., p. 9].

Questo testo descrive in maniera poetica una condizione di vita di molto superiore alla media. Una fraseologia simile è usata, per indicare una vita piena di attenzioni e di benessere, in riferimento ad altri due personaggi: il primo Buddha Vipassi [D., II, 21] e Yasa, il figlio di un ricco commerciante di Benares [Vin., I, 15]. Mentre la tradizione più recente descrive il Buddha come nato nella famiglia reale di un ricco stato, una serie di riferimenti presenti nel Canone Pali suggeriscono invece che egli era piuttosto il figlio di un uomo di governo di una piccola repubblica aristocratico-tribale, conosciuta con il nome di Sakya (14). Questa entità era situata ai piedi dell’Himalaya con capitale Kapilavatthu, e in quel periodo viene menzionata come tributaria del potente regno di Kosala [vedi, tra gli altri, D., III, 83; M., I, 110; 124].

In questo testo il Buddha racconta anche altri dettagli della sua vita: apparteneva alla classe nobile e guerriera, il nome della sua tribù era Gotama, il nome di suo padre era Suddhodana e il nome di sua madre era Maya [D., II, 3 ss.]. Altri riferimenti indicano che sua madre morì subito dopo la sua nascita [M., III, 122] e che egli fu allevato dalla madre adottiva Mahapajapati [M., III, 253].

Nel Canone si fa menzione della visita che il futuro Buddha, ancora neonato, ricevette da un Saggio, che profetizzò le sue future realizzazioni spirituali [Sn., 679 ss.]. Si fa anche menzione del figlio del Buddha, Rahula, della cui madre si parla solo come “madre di Rahula” [Vin. I, 82]. Altri riferimenti biografici canonici, per esempio i dettagli della sua nascita [M., III, 122; D., III, 12 ss], sono probabilmente più allegorici che fattuali.

 

2. “Mentre avevo così tanto potere e buona sorte, allora mi venne il pensiero: ‘Quando una persona ordinaria, non istruita, che è soggetta all’invecchiamento, che non è al sicuro dall’invecchiamento, vede una persona anziana, rimane sconvolta, umiliata e disgustata, perché ha dimenticato che egli stesso non è un’eccezione.

Ma anch’io sono soggetto all’invecchiamento, non sono al sicuro dall’invecchiamento e quindi non può essermi d’aiuto l’essere sconvolto, umiliato e disgustato dal vedere una persona anziana’.

Non appena riflettei su questo, la vanità della giovinezza svanì completamente.

Allora mi venne il pensiero: ‘Quando una persona ordinaria, non istruita, che è soggetta alla malattia, che non è al sicuro dalla malattia, vede una persona malata, rimane sconvolta, umiliata e disgustata, perché ha dimenticato che egli stesso non è un’eccezione.

Ma anch’io sono soggetto alla malattia, non sono al sicuro dalla malattia, e quindi non può essermi d’aiuto essere sconvolto, umiliato e disgustato dal vedere una persona malata’.

Non appena riflettei su questo, la vanità della salute svanì completamente.

Allora mi venne il pensiero: ‘ Quando una persona ordinaria, non istruita, che è soggetta alla morte, che non è al sicuro dalla morte, vede una persona morta, rimane sconvolta, umiliata e disgustata, perché ha dimenticato che egli stesso non è un’eccezione.

Ma anch’io sono soggetto alla morte, non sono al sicuro dalla morte, e quindi non può essermi d’aiuto essere sconvolto, umiliato e disgustato dal vedere una persona morta’.

Non appena riflettei su questo, la vanità della vita svanì completamente” [A. I, 145 (adattato da LoB, 9)].

Questo passaggio rappresenta il futuro Buddha come una persona riflessiva e sensibile, turbata dalla cruda realtà della condizione umana. Questa sue caratteristiche vengono espresse in modo allegorico, con il confronto diretto tra il delicato e protetto Bodhisatta da un lato, e, dall’altro, una persona anziana, una persona malata e una persona morta. C’è un riscontro canonico per questa storia, perché lo stesso Buddha accenna al fatto che un confronto del genere capitò al Buddha precedente, Vipassi, e poi dice che lo stesso succederà anche ai Buddha del futuro [D., II, 12 ss.]. Questi tre personaggi (la persona anziana, la persona malata e la persona morta) sono chiamati i tre “Messaggeri Celesti” [M., III, 179 ss.].

 

3. “Allora, o bhikkhu, prima del mio Risveglio, quando ero ancora un Bodhisatta non risvegliato, essendo soggetto io stesso alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia, alla morte, alla sofferenza e alla corruzione, cercavo quello che fosse ugualmente soggetto alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia, alla morte, alla sofferenza e alla corruzione. Allora mi venne il pensiero: perché, essendo soggetto io stesso alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia, alla morte, alla sofferenza e alla corruzione, cerco ciò che è ugualmente soggetto alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia, alla morte, alla sofferenza e alla corruzione? E se invece, essendo io stesso soggetto a queste cose, avendo visto il pericolo in esse, cercassi il non nato, il non soggetto all’invecchiamento, il non-soggetto alla malattia, il senza morte, la suprema e non corrotta liberazione dalla schiavitù: il Nibbana? [M. I, 163, sutta 26].

L’esperienza della fragilità della vita umana frequentemente conduce le persone alla depressione, alla disperazione o al pessimismo, a meno che non si possa intravedere la possibilità di uscire da tale condizione. Questa possibilità risiede nell’ambito spirituale, in quella particolare area dell’esperienza umana che ha a che fare con le domande ultime della vita. Il futuro Buddha era consapevole che per realizzare questa possibilità era necessario allontanarsi da “ciò che è nato”, per realizzare “ciò che è non nato”. Questo atteggiamento è simboleggiato dall’immagine in cui il futuro Buddha vede un asceta, mendicante, dedito alla ricerca della Verità [D. II, 28].

 

4 “Allora io, prima di risvegliarmi, mentre ero ancora un Bodhisatta non risvegliato, riflettei: ‘La vita familiare è limitata, è un sentiero di polvere. Andare [verso la condizione di senza casa] è apertura completa, spazio libero. All’interno della famiglia non è facile condurre una vita spirituale completamente realizzata e purificata, lucida come madreperla. Capii che dovevo radermi la testa e la barba, vestirmi in abiti ocra e lasciare la famiglia, per la condizione di senza famiglia” [M., I, 240, sutta 35; II, 211].

Più tardi, quando ero ancora giovane, quando ero ancora un ragazzo dai capelli neri, nel pieno della sua giovinezza, colmo di energia, appena agli inizi della sua vita – contro la volontà di mio padre e di mia madre, che si disperavano e piangevano- mi rasai il capo e la barba, misi un abito ocra e andai dalla condizione della vita familiare alla condizione del senza famiglia” [M., I, 163, sutta 26; 240; II, 93, 212].

Nella cultura indiana, all’epoca del Buddha, ma anche al giorno d’oggi, si riteneva comunemente che una seria ricerca spirituale potesse essere intrapresa soltanto da persone che avessero abbandonato le responsabilità della vita familiare, per impegnare tutte le loro energie nella realizzazione spirituale. La chiara consapevolezza intuitiva della natura mortale e corruttibile dell’esistenza umana spinse il Bodhisatta a sacrificare gli agi di una posizione sociale privilegiata, i piaceri e la sicurezza della vita familiare, per le difficoltà e l’insicurezza della ricerca spirituale.

 

5. “Così andai, cercando di conseguire ciò che è buono, alla ricerca dell’incomparabile, altissimo sentiero di pace, mi recai da Alara Kalama e gli dissi: ‘Amico Kalama, vorrei condurre una vita religiosa in questo insegnamento e in questa pratica’.

Avendo io detto questo, o Bhikkhu, Alara Kalama replicò: ‘Resta, o venerabile. Questo insegnamento è tale che una persona dotata può comprenderlo e penetrarlo, anche in breve tempo, e può realizzarsi attraverso la conoscenza più elevata, fino a diventare maestro di se stesso’.

Così, o bhikkhu, molto presto, molto rapidamente, compresi quell’insegnamento.

Allora, o bhikkhu, riflettei: ‘Questo insegnamento non conduce al distacco, alla contemplazione, alla cessazione, alla pace, alla conoscenza più elevata, al risveglio o al Nibbana, ma solo al raggiungimento della Sfera della Non-esistenza’.

Così, trovando questo insegnamento insoddisfacente, lo abbandonai e lasciai quel maestro” [M., I, 163 s., sutta 26; 240; II, 93, 212].

L’India del VI secolo a..C era ricca di una gran varietà di insegnamenti spirituali. Come era naturale, per un giovane uomo alla ricerca delle risposte ultime alle domande della vita, il futuro Buddha andò a cercare un maestro riconosciuto, che gli fornisse le istruzioni necessarie. Anche se ben presto raggiunse la piena comprensione dell’insegnamento, l’allievo non era però soddisfatto. La sua brama spirituale non era ancora appagata.

Il racconto continua con l’incontro di un altro maestro, Udaka Ramaputta, che insegnò al futuro Buddha a raggiungere i livelli meditativi più elevati della Sfera del Né-percezione-né-non-percezione (15). Anche questa volta il futuro Buddha acquisì ben presto una completa padronanza dell’insegnamento, ma nonostante ciò rimaneva insoddisfatto. Egli dunque riprese il suo personale cammino spirituale.

 

6. “Allora mi venne il pensiero: ‘E se io, con i denti stretti e la lingua pigiata sul palato, domassi, controllassi e schiacciassi la mente con la mente?’. Così come un uomo forte può afferrare una persona più debole per la testa o per le spalle e può buttarlo giù e immobilizzarlo e schiacciarlo, così io, con i denti stretti e la lingua pressata contro il palato, buttavo giù e immobilizzavo e schiacciavo la mente con la mente. E mentre facevo questo sforzo, mi scendeva sudore dalle ascelle.

Nonostante si fosse risvegliata in me un’energia instancabile, e si fosse stabilita una costante consapevolezza, il mio corpo era tuttavia tormentato e agitato perché ero esausto dallo sforzo doloroso. Ma anche se queste sensazioni dolorose si risvegliarono in me, esse non presero possesso della mia mente.

Allora mi venne il pensiero: ‘E se praticassi la meditazione senza respiro?’. Così trattenni le ispirazioni e le espirazioni nella bocca e nel naso. E mentre facevo così, sentivo un forte rumore di vento venire dalle orecchie, come il rumore delle fucine del fabbro che si gonfiano.

Allora fermai le ispirazione e le espirazioni nella bocca, nel naso e nelle orecchie. E mentre lo facevo, violente pulsazioni battevano sulla mia testa, come se un uomo fortissimo la stesse aprendo in due con una lama affilata. E sentivo dolori fortissimi alla testa, come se un uomo fortissimo stesse stringendo intorno alla mia testa solide cinghie di cuoio. E poi fortissime contrazioni mi lanciavano il ventre, come quando un abile macellaio o il suo apprendista tagliano lo stomaco di un bue con un coltello affilato. E poi mi venne un bruciore violento nello stomaco, come se due uomini fortissimi avessero afferrato un uomo più debole da entrambe le braccia e stessero ad arrostirlo sulla brace ardente.

E ogni volta, anche se in me si era risvegliata un’energia instancabile e si era stabilita una solida consapevolezza, tuttavia il mio corpo era tormentato e agitato perché ero esausto dallo sforzo doloroso. Ma anche se queste sensazioni dolorose si svegliavano in me, esse non prendevano possesso della mia mente” [M., I, 242 ss., sutta 26 (abbreviato) II, 93, 212 (LoB, p. 17 ss.)].

Anche se molto assiduo negli sforzi per raggiungere qualche verità spirituale, il futuro Buddha era ancora insoddisfatto dei risultati che otteneva. Non avendo raggiunto risultati significativi con diverse pratiche meditative, il futuro Buddha prese a seguire alcune delle pratiche ascetiche per cui l’India era famosa.

 

7. “Era così, dunque, la mia pratica ascetica, che andavo nudo, rigettavo le convenzioni, mi lavavo le mani leccandole, non mi avvicinavo quando qualcuno mi chiamava, non mi fermavo quando qualcuno mi parlava…. Nascondevo le mie nudità con tuniche di canapa, con tuniche di crine, con lenzuoli funebri, con stracci e vestiti rattoppati, con la corteccia di un albero, con erbe e foglie intrecciate insieme, con pelli di animali, sotto l’ala di una civetta.

E così fui uno di quelli che si strappano i capelli e la barba, seguendo la pratica di strapparsi i capelli e la barba. E fui uno di quelli che rimangono in piedi per periodi lunghissimi, rifiutando di sedere. E fui uno di quelli che rimangono seduti sui calcagni per periodi lunghissimi, devoto alla pratica di sedere sui calcagni. E fui uno di quelli che si coricano su un giaciglio di spine, feci di un giaciglio di spine il mio letto. E seguii la pratica di fare il bagno tre volte prima dell’imbrunire. Così era la mia pratica ascetica.

E poi me ne andavo in una selva spaventosa e dimoravo lì, una selva così spaventosa da far drizzare i capelli a chi non fosse libero dal desiderio. Nella fredda stagione d’inverno, nel periodo del gelo, passavo le notti in una radura all’aperto, e le giornate nel fitto del bosco. E nella stagione calda me ne stavo di giorno in una radura all’aperto, e di notte nel fitto del bosco. E poi a un certo punto mi si presentò spontaneamente questa strofa, che non avevo mai ascoltato:

Intirizzito dal freddo di notte, e bruciato dal sole di giorno,

Da solo, per selve spaventose,

Nudo, senza un fuoco accanto a cui sedersi,

L’eremita segue la sua ricerca.

E mi coricavo nei cimiteri, con mucchi di ossa come cuscino. E giovani pastori arrivavano, e mi sputavano, e mi bagnavano, e mi gettavano rifiuti, e mi conficcavano bastoncini nelle orecchie. E, nonostante questo, non sorse mai in me alcun pensiero cattivo contro di essi. Tale era il mio dimorare nell’equanimità” [M. I, 77ss., sutta 12].

Allora mi venne il pensiero: ‘E se prendessi pochissimo cibo, quello che ogni volta entra nel cavo di una mano, sia zuppa di fagioli, zuppa di lenticchie o zuppa di piselli?’. E così feci. E facendo così, il mio corpo raggiunse uno stato di estrema magrezza, e a causa del poco mangiare le mie braccia e le mie gambe diventarono sottili come un tralcio di vite o una canna di bambù. Il mio sedere divenne come la zampa di un cammello; la mia colonna vertebrale spuntava dalla pelle come i grani di un rosario, le mie costole sporgevano esili come le travi pericolanti di una capanna senza tetto; le pupille dei miei occhi, sprofondate nelle orbite, rilucevano come lo specchio d’acqua giù nel fondo di un pozzo; la pelle del mio cranio appassiva e si seccava, come un zucca lasciata al sole e al vento. E se volevo toccare la pelle del mio stomaco, arrivavo anche alla spina dorsale, e se volevo toccare la mia spina dorsale, arrivavo anche allo stomaco, perché il mio stomaco e la mia spina dorsale erano vicinissimi l’uno all’altra, a causa del mio scarso mangiare. E quando facevo i miei bisogni, cadevo continuamente in avanti. E se volevo dare conforto al mio corpo, massaggiandomi gli arti con le mani, mentre strofinavo i peli, marci alla radice, cadevano, a causa del mio scarso mangiare” [M. I, 242 ss., sutta 36; II, 93; 212 (adattato da LoB, p. 17 ss).].

Alcune di queste pratiche ascetiche erano comuni nelle varie sette religiose che proliferavano nel VI secolo a.C. Il futuro Buddha le sperimentò, ma le trovò insoddisfacenti per la sua ricerca.

 

8. “Allora mi venne il pensiero: ‘Tutti i dolori, i tormenti e le lacerazioni che asceti o bramini hanno mai provato nella loro ricerca spirituale, o proveranno in futuro, o provano in questo momento, saranno uguali ma non superiori a quelli che ho provato e provo io. Ma, pur con questa severa pratica, non ho raggiunto alcuna condizione umana superiore, che consenta la conoscenza e la visione della Verità. C’è forse un’altra strada per il risveglio?’

Mi ricordai allora di una volta che, mentre mio padre stava lavorando nei campi, io sedetti nella fresca ombra di un albero di melograno; e lontano dai desideri sensuali, lontano dalle cose non salutari, entrai in meditazione e raggiunsi il primo grado di concentrazione, che è caratterizzato dal pensiero e dall’investigazione, con la beatitudine e il piacere sorti dalla solitudine. E allora mi venne il pensiero: ‘E’ forse questa la strada per il risveglio?’ E così, seguendo quel ricordo, compresi che quella era la strada per il risveglio.

E allora mi venne il pensiero: “Perché ho timore di questo piacere? E’ una piacere che non ha niente a che fare con i desideri sensuali e con le cose non salutari’. E poi pensai: ‘Non ho timore di questo piacere, perché non ha nulla a che fare con i desideri sensuali e con le cose non salutari’.

E allora mi venne il pensiero: ‘Non è possibile raggiungere tale piacere con un corpo così debole. E se mangiassi un po’ di cibo solido, un po’ di riso bollito e di latte acido?’ ” [M. I, 246s., sutta 36 (adattato da LoB, p. 21)].

Il futuro Buddha aveva sperimentato un vasto ambito di pratiche spirituali, che secondo la tradizione erano considerate gli unici mezzi per raggiungere la Verità. Egli era tuttavia ancora insoddisfatto. E a causa della sua delusione e del suo disinganno cercò una strada diversa. Allontanandosi dal cammino dell’auto-mortificazione e delle privazioni, egli pensò di provare la strada del piacere spirituale, non sensuale. Questo fu un passaggio decisivo, anche se criticato. I cinque asceti che lo seguivano durante il periodo delle privazioni lo lasciarono con disprezzo, pensando che egli avesse abbandonato la ricerca spirituale. Da solo, e su un sentiero del tutto nuovo, il futuro Buddha riprese il suo cammino.

 

9. “E ora che avevo preso un nutrimento adeguato e avevo riconquistato la mia forza fisica, abbandonati i piaceri sensuali e le cose non salutari, raggiunsi e dimorai nel Primo stadio di Assorbimento meditativo, che è accompagnato da pensiero e riflessione, con la beatitudine e il piacere che nascono dal distacco. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente. Calmando il pensiero e la riflessione raggiunsi e dimorai nel Secondo stadio di Assorbimento meditativo, in cui la mente è tranquillizzata internamente e fissata su un punto, libera dal pensare e dal riflettere, con la beatitudine e il piacere nati dalla concentrazione. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente.

Con il venir meno della gioia, dimorai nell’equanimità, chiaramente e pienamente consapevole, sperimentando nel mio essere quel piacere di cui le persone nobili dicono: ‘L’equanimità e la consapevolezza sono dimore piacevoli’, cosi raggiunsi e dimorai nel Terzo stadio di Assorbimento meditativo. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente.

Con il venire meno del piacere e del dolore, e con la scomparsa di ogni precedente benessere e turbamento mentale, così raggiunsi e dimorai nel Quarto stadio di Assorbimento meditativo, purificato dall’equanimità consapevole, in cui non vi è né dolore né piacere. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente” [M. I, 247s., sutta 36].

Lo sviluppo di questi quattro stadi di concentrazione e di assorbimento, sempre più profondi, nell’oggetto di meditazione, dà alla mente un notevole grado di forza e di potenza, che possono poi essere utilizzate per raggiungere il risveglio. Il futuro Buddha aveva già in passato sviluppato questa energia, ma ora la stava utilizzando come uno strumento per rafforzare la mente, piuttosto che come un obiettivo in sé.

Avendo scoperto un nuovo cammino, ristabilita la sua determinazione e raggiunto un grado eccezionalmente raffinato di sviluppo mentale, il futuro Buddha era aperto a un’esperienza umana profonda, l’esperienza del Risveglio. Questa esperienza eccezionale è espressa in termini concettuali in vari modi, il più comune dei quali è quello delle “Tre conoscenze”.

 

10. “Con la mente in tal modo calmata, purificata, pulita, incontaminata, non corrotta, malleabile, coltivabile, stabile e impassibile, io diressi la mente a conoscere e ricordare le mie esistenze precedenti. Richiamai così alla mente una grande varietà di forme di vita precedenti: prima una nascita, poi due nascite, poi tre nascite, poi quattro nascite, poi cinque nascite, poi dieci nascite, poi venti nascite, poi trenta nascite, poi quaranta nascite, poi cinquanta nascite, poi cento nascite, poi mille nascite, poi centomila nascite, poi l’epoca della disgregazione dei mondi, poi l’epoca dell’integrazione dei mondi, poi l’epoca della disgregazione e dell’integrazione dei mondi; così era il mio nome, così era la mia famiglia, così le mie sembianze, così il mio nutrimento, così la mia esperienza di piacere e sofferenza, così il tempo della mia vita. Poi, passando oltre, entrai in un’altra esistenza, in cui così era il mio nome, così la mia famiglia, cosi le mie sembianze, così il mio nutrimento, così la mia esperienza di piacere e sofferenza, così il tempo della mia vita. Poi, passando oltre, entrai di nuovo in questa esistenza. Così, con pienezza di dettagli e connotati, richiamai alla mente varie forme di esistenza precedenti.

Questa fu la Prima Conoscenza che raggiunsi, nelle prime ore della notte. L’ignoranza fu dissipata e sorse la conoscenza; l’oscurità fu dissipata e sorse la luce, e in questo modo dimoravo, vigile, energico e risoluto. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente.

Con la mente in tal modo calmata, purificata, pulita, incontaminata, non corrotta, malleabile, coltivabile, stabile e impassibile, io diressi la mente alla consapevolezza dello scomparire e del riapparire degli esseri. Con visione chiaroveggente, purificata e sovrannaturale, diressi la mia mente alla conoscenza della scomparsa e riapparizione degli esseri. Compresi che gli esseri sono inferiori o superiori, belli o brutti, ben ricompensati o mal ricompensati, a seconda delle loro azioni (kamma). E in verità quegli esseri che non sono retti nell’azione, che non sono retti nella parola, che non sono retti nella mente, che offendono le persone nobili, che hanno una visione non retta, che compiono azioni seguendo una visione non retta, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, entrano in uno stato di privazioni, verso una destinazione sfavorevole, in un luogo di sofferenza, in mondi infernali. Quegli esseri invece che sono retti nell’azione, retti nella parola, che non offendono le persone nobili, che hanno una retta visione, che compiono azioni secondo una retta visione, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, raggiungono una destinazione favorevole, in mondi celestiali.

Con visione chiaroveggente, purificata e sovrannaturale, io vidi gli esseri scomparire e riapparire. Compresi che gli esseri sono inferiori o superiori, belli o brutti, ben ricompensati o mal ricompensati, a seconda delle loro azioni (kamma).

Questa fu la Seconda Conoscenza che raggiunsi, nelle ore successive della notte. L’ignoranza fu dissipata e sorse la conoscenza; l’oscurità fu dissipata e sorse la luce, e in questo modo dimoravo, vigile, energico e risoluto. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente.

Con la mente in tal modo calmata, purificata, pulita, incontaminata, non corrotta, malleabile, coltivabile, stabile e impassibile, io diressi la mente verso la conoscenza dell’estinzione degli inquinanti (asava). E così ebbi una conoscenza diretta, conforme a ciò che realmente è, che:

Questa è la sofferenza; questa è l’origine della sofferenza; questa è la cessazione della sofferenza; questo è il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza’. E così ebbi una conoscenza diretta, conforme a ciò che realmente è, che: “Questi sono gli inquinanti; questa è l’origine degli inquinanti; questa è la cessazione degli inquinanti; questo è il cammino per la cessazione degli inquinanti’. Così conoscendo e così vedendo, allora la mia mente fu liberata dall’inquinante del piacere sensuale, dall’inquinante del divenire e dall’inquinante dell’ignoranza. In questa condizione di libertà, sorse la conoscenza: ‘Esiste la libertà”; ed ebbi la diretta conoscenza che: ‘La nascita si è esaurita, la vita religiosa è stata realizzata, ciò che doveva essere fatto è stato fatto, non c’è più l’essere (il divenire).

Questa fu la Terza Conoscenza che raggiunsi, nelle ultime ore della notte. L’ignoranza fu dissipata e sorse la conoscenza; l’oscurità fu dissipata e sorse la luce, e in questo modo dimoravo, vigile, energico e risoluto. E la sensazione di piacere che era sorta in tal modo, persistette, senza prendere il controllo della mia mente” [M. I, 247ss., sutta 36; cfr. M. I, 22s.; 117].

Queste “Tre Conoscenze” furono realizzate anche da alcuni discepoli del Buddha, anche se non sono requisiti necessari per il raggiungimento del Risveglio. La profonda consapevolezza intuitiva che il Buddha ha raggiunto nell’esperienza del Risveglio è espressa in vari modi in diverse parti del Canone.

 

11. “E così, o bhikkhu, ho visto un antico sentiero, un antico cammino, già percorso dai perfettamente Risvegliati del passato. E quale è, o bhikkhu, questo antico sentiero, quest’antico cammino, già percorso dai perfettamente Risvegliati del passato? E’ semplicemente il Nobile Ottuplice Sentiero, che consiste in retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta sussistenza, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione.

Questo è l’antico sentiero, l’ antico cammino, già percorso dai perfettamente Risvegliati del passato, e seguendo questo sentiero sono giunto a conoscere l’invecchiamento e la morte, sono giunto a conoscere l’origine dell’invecchiamento e della morte, sono giunto a conoscere la cessazione dell’invecchiamento e della morte, sono giunto a conoscere la strada che conduce alla cessazione dell’invecchiamento e della morte. Seguendo questo cammino sono giunto a conoscere la nascita…. il divenire… l’attaccamento… il desiderio… le sensazioni… il contatto…. le sei facoltà sensoriali… la mente-e-corpo… la coscienza.

Sono giunto a conoscere le attività intenzionali, e anche il percorso che conduce alla cessazione delle attività intenzionali.

Avendo ciò compreso (attraverso l’esperienza personale), ho insegnato ai monaci, alle monache, ai praticanti laici, così che questa vita spirituale diventi piena, prospera e diffusa, conosciuta a molti, e annunciata da creature celesti ed umane” [S. II, 105s.].

In varie parti del Canone l’esperienza di Risveglio del Buddha è espressa nei termini della comprensione della Causalità Condizionata (S. II, 10, 103ss; cfr. Vin., 1, 1-2; Ud. 1-3). In altre parti è invece espressa come piena comprensione della soddisfazione, della miseria e della via di uscita dai 4 elementi (S. II, 169ss.), dai 5 khandha (S. III, 27ss.), dai 6 sensi e dai 6 oggetti sensoriali (S. IV, 6 ss.; 97), dalle sensazioni (S. IV, 233), dalle 5 facoltà (S. V, 203) e, infine, dal mondo (A. I, 258).

Si afferma anche che il Risveglio fu accompagnato dallo sviluppo della consapevolezza del respiro (S. V, 316) e dalle basi del potere psichico (S. V, 264ss.), poiché il Buddha, compreso il pericolo insito nei piaceri, era ormai diventato abile nell’entrare e nell’uscire dai 9 assorbimenti (A. IV, 438 ss.)

 

12. “E così, o bhikkhu, essendo io stesso soggetto alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia, alla morte, alla sofferenza e alla corruzione, avendo visto il pericolo in ciò che è soggetto a questo fenomeni, cercando il non nato, il non soggetto all’invecchiamento, il non soggetto alla malattia, il senza morte, il senza sofferenza, la suprema liberazione dalla schiavitù, il Nibbana; ho realizzato il non nato, il non soggetto all’invecchiamento, il non soggetto alla malattia, il senza morte, il senza sofferenza, la suprema liberazione dalla schiavitù, il Nibbana.

La conoscenza e la visione sorsero in me: la mia liberazione è definitiva, questa è la mia ultima nascita, non sarò soggetto ad alcuna rinascita” [M. I, 167, sutta 26, abbreviato].

Con l’esperienza del Pieno Risveglio, i sei anni di assidua e ardente ricerca spirituale del futuro Buddha furono ricompensati. Egli aveva realizzato la liberazione definitiva dal Nibbana e da quel momento in poi fu conosciuto come il Buddha, Colui che conosce la Verità. Questa Verità era comunque piuttosto diversa da ciò che la maggior parte della gente considera tale, ed era assai difficile da esprimere.

 

13. “E così mi venne il pensiero, o bhikkhu,: ‘Questo Dhamma che ho trovato è profondo, difficile da vedere, difficile da capire, pacifico, prezioso, oltre la logica, sottile, comprensibile solo al saggio. Ma le persone cercano il desiderio, amano il desiderio, sono deliziate dal desiderio.

Dunque, per le persone che cercano il desiderio, amano il desiderio, sono deliziate dal desiderio, questi principi come il rapporto di causa e effetto, la causalità condizionata, sono difficili da comprendere. E in verità sono anche difficili da comprendere aspetti come il quietarsi di tutte le formazioni, il lasciar andare ogni attaccamento, l’esaurirsi del desiderio, l’equanimità, la cessazione, il Nibbana. E se io mi ponessi ad insegnare il Dhamma e gli altri non mi comprendessero, ciò sarebbe per me un’inutile fatica e un’afflizione.

E così, mentre stavo riflettendo, la mia mente propendeva verso l’idea di lasciar perdere, di non insegnare il Dhamma” [M. I, 167 s., sutta 26; Vin., 4s.; S, I, 136; cfr. D. II, 36s.]

La Verità raggiunta dal Buddha è piuttosto diversa da quella convenzionalmente riconosciuta nel mondo. Essa è infatti opposta al nascere, all’invecchiare e al morire, che sono comuni a tutti gli esseri umani; è piuttosto “il non nato, il non soggetto all’invecchiamento, il non soggetto alla malattia, il senza morte”, ciò che la maggior parte della gente non può nemmeno immaginare! E provare a trasmettere questi insegnamenti, apparentemente incomprensibili, sarebbe stato inutile. Poi però l’essere celestiale Brahma Sahampati, che sapeva quali sarebbero state le gravi conseguenze della decisione del Buddha, lo supplicò di insegnare, per il bene di quegli esseri “con poca polvere sui loro occhi”.

 

14. “Allora, o bhikkhu, avendo ricevuto la supplica di Brahma, per compassione degli esseri viventi, contemplai il mondo con gli occhi di un Risvegliato. E come contemplai il mondo con gli occhi di un Risvegliato, vidi esseri poco corrotti ed esseri molto corrotti, esseri con menti acute ed esseri con menti ottuse, esseri con buone qualità ed esseri con cattive qualità, esseri predisposti a ricevere gli insegnamenti ed esseri non predisposti a ricevere gli insegnamenti, e soltanto pochi che dimorano nella visione del carattere insoddisfacente della realtà, e hanno paura dei prossimi mondi.

Così come in un laghetto di loti blu o in un laghetto di loti rossi o in un laghetto di loti bianchi, ce ne sono alcuni, sia blu, che rossi, che bianchi, che nascono nell’acqua, crescono nell’acqua, rimangono sotto la superficie dell’acqua, e fioriscono completamente nell’acqua; e ce ne sono altri, sia blu, che rossi, che bianchi, che nascono nell’acqua, crescono nell’acqua e arrivano alla superficie; e poi altri ancora, sia blu, che rossi, che bianchi, che nascono nell’acqua, crescono nell’acqua, emergono dall’acqua e ne rimangono al di sopra, non toccati dall’acqua.

Allora, o Bhikkhu, mi indirizzai a Brahma Sahampati con questi versi:

Aperte sono le porte del Senza morte,

Coloro che hanno orecchie per ascoltare, possano mostrare la loro fede,

Temendo l’afflizione avevo deciso di non insegnare il Dhamma,

Ora, o Brahma, so che è ottimo per gli esseri umani”.

[M. I, 169, sutta 26, abbreviato]

Allora il Buddha superò la sua iniziale esitazione e decise di insegnare il Cammino verso il Risveglio a quelli che stavano cercando questa strada. Nel Buddhismo gli esseri celestiali sono considerati come esseri dall’avanzato sviluppo spirituale, i cui livelli più elevati possono essere raggiunti solo attraverso raffinate pratiche meditative, piuttosto che tramite azioni virtuose. Molte delle “divinità” brahminiche, in questa citazione Brahma, e in altre citazioni Indra (Sakka, cfr. D.21) sono state cooptate nel Buddhismo. Metaforicamente, possono rappresentare le più nobili qualità umane.

 

15. “Il Tathagata è perfettamente e completamente risvegliato. Ascoltate, o bhikkhu, la condizione del Senza-morte è stata raggiunta. Vi insegnerò il Dhamma, vi esporrò il Dhamma. Seguendo quello che è stato indicato, presto penetrerete e risiederete, conoscerete e sperimenterete, per voi stessi, questo insuperato culmine della vita spirituale, per il quale una persona di buona stirpe ha giustamente lasciato la vita familiare per la condizione di senza famiglia” [Vin. I, 9].

Il Buddha come prima cosa considerò chi poteva essere il più adatto per comprendere il suo sottile insegnamento. Inizialmente pensò ai suoi primi due maestri (vedi supra al n. 5), ma entrambi erano già passati ad altra vita. Poi gli vennero in mente i cinque asceti che lo avevano seguito durante il suo periodo di privazioni. Li andò a cercare nel Parco dei daini a Sarnath, vicino all’attuale Varanasi. E a loro diede il suo primo insegnamento, con risultati immediati.

 

16. “E allora il venerabile Aññata Kondañña, avendo visto, avendo raggiunto, avendo conosciuto e avendo penetrato il Dhamma, avendo superato ogni dubbio, senza incertezza, avendo raggiunto una completa fiducia nell’insegnamento del Maestro, senza dipendere da altro, disse al Beato: ‘Possa io ricevere l’ordinazione per proseguire in questo cammino, alla presenza del Beato? Possa io essere accolto in quest’ordine?’ “.

Vieni, o Bhikkhu’, disse il Beato, ‘ il Dhamma è ben esposto. Vivi nel cammino spirituale per il definitivo superamento della sofferenza.’ ” [Vin. I, 12].

Aññata Kondañña fu il primo a comprendere l’insegnamento, e immediatamente chiese di diventare un discepolo del Buddha. Egli diventò così il primo bhikkhu ad entrare nel Sangha Buddhista. E fu ben presto seguito dagli altri quattro asceti, quando anch’essi penetrarono il vero significato del messaggio del Buddha.

 

17. “Andate, o bhikkhu, per il beneficio e la felicità del genere umano, con compassione, per il mondo, per il benessere e il giovamento delle creature umane e delle creature celesti. E non percorrete in due lo stesso sentiero. Insegnate il Dhamma, che è splendido nel suo inizio, splendido nel mezzo e splendido alla fine. Spiegate la vita spirituale, nel suo significato e nella dottrina, completamente realizzati e puri” [Vin, I, 21].

Quando il Buddha prese a viaggiare e ad insegnare, un numero crescente di persone realizzò la verità del suo insegnamento e raggiunse il completo risveglio. Quando i discepoli raggiunsero il numero di sessanta, il Buddha li esortò a disperdersi per il mondo, per condividere l’insegnamento con gli altri esseri sofferenti. Per i successivi quarantacinque anni lo stesso Buddha viaggiò per tutto il nord dell’India, insegnando senza sosta a un grandissimo numero di persone, dai brahmini di alta educazione fino ai semplici contadini, dai seguaci di altre tradizioni fino ai governanti di regioni vicine.

 

18. “Io, Ananda, sono ormai debole, vecchio, ho un’età venerabile, ho compiuto il tempo della mia vita, ho raggiunto gli ottant’anni. Così come un vecchio carro è tenuto insieme con l’aiuto di cinghie, allo stesso modo il corpo del Tathagata è sostenuto da fasciature. Solo quando il Tathagata entra nella concentrazione, allontanando l’attenzione da tutti i segni, e facendo cessare le sensazioni, il suo corpo trova sollievo.

Perciò, Ananda, siate per voi stessi la vostra lampada (16), prendete rifugio in voi stessi e in null’altro. Che il Dhamma sia la vostra lampada, il Dhamma e null’altro. E come può un monaco fare ciò? Così un monaco risiede nella contemplazione dei quattro fondamenti della consapevolezza” [D. II, 100].

Alla fine, a circa 80 anni, il corpo del Buddha raggiunse il suo tempo. Solo grazie all’energia della meditazione, egli aveva potuto mantenere fino a quel momento un certo grado di benessere fisico. La sua enfasi sul prendere se stessi come lampada e come rifugio sottolinea la natura contemplativa del suo insegnamento: solo dentro se stessi le fonti della sofferenza possono essere scoperte e, grazie al Dhamma, grazie al sentiero di pratica spirituale del Buddha, la sofferenza può essere superata.

 

19. “E poi il Beato disse ai monaci: ‘Ed ora, o monaci, vi dico: è nella natura di tutte le cose condizionate di essere soggetti a decadenza; continuate ad impegnarvi, instancabilmente.

Queste furono le ultime parole del Tathagata” [D, II, 156].

 

(1) [N.d.T. I brani delle scritture sono stati tradotti dalla versione inglese dell’autore. E’ stato pertanto mantenuto l’apparato originale delle citazioni].

(2) Harvey P., The Selfless Mind, Curzon Press, 1995

(3) Sul Ven. Tissa Moggaliputta vedi Nyanatiloka, 664 ss.; e anche Gombrich, 132 ss., Winternitz, vol. II, 7 ss.

(4) Per le controversie sulla datazione vedi, tra gli altri, Schumann, 10 ss.; Winternitz, vol. II, 572. 

(5) SS. II, 105; LoB, 27 s.  

(6) Per i Sei Buddha del passato: D. II, 12 ss.; S. II, 5ss.; per il Buddha del Futuro, Metteya: D. III, 76. Il Buddhavamsa, un testo canonico più recente, enumera 27 Buddha precedenti. Su questo testo Winternitz (vol. II, 156) scrive che però “dobbiamo considerare il Buddhavamsa come parte dei prodotti più recenti della letteratura canonica pali. Esso è in effetti pieno di quell’adorazione e deificazione del Buddha che non è presente nei testi Tipitika più antichi, ma che è in piena fioritura nella Letteratura Buddhista Sanscrita, specialmente in ambito mahayana”. Il Dictionary of Pali proper Names, II, p. 295, menziona che “il Lalitavistara contiene una lista di 54 Buddha e il Mahâvastu una lista di più di cento”.  

(7) Winternitz (vol. II, p. 37 ss.) sottolinea il mescolarsi di elementi diversi tra loro nel Mahaparinibbanasutta, Il Discorso sul Passaggio finale del Buddha [D., sutta 16].  

(8) Campbell J., The Hero with a Thousand Faces, p. 164. Winternitz (vol. II, p. 201) scrive che “gli indiani non hanno mai fatto distinzione tra saghe, leggende e storia e scrivere di storia in India è sempre stato come scrivere poemi epici. Così per i buddhisti tutte le leggende sui Buddha del passato e le prime nascite del Buddha Gotama nel Buddhavamsa, nel Caryâpitaka e nel Jâtaka sono storia così come l’intera vicenda del Buddha”. 

(9) Jayawickrama, xii. 

(10) Cfr. Winternitz, II, 108 ss.; Jayawickrama, xi ss. 

(11) Jayawickrama, xiii; ad esempio D., sutta 14; M., sutta 4, 12, 26, 36, 75, 85, 100, 123; sutta Nipâta, sutta 1, 2, 11; Mahavagga Ch. 1; Buddhavamsa, ecc.  

(12) Winternitz, II, 93 s. 

(13) Il termine utilizzato (pâsâda) è a volta tradotto con “reggia” (come il LoB, p. 9). Però il termine “palazzo” si adatta meglio al contesto, perché: a) il Futuro Buddha non era membro di una casa reale; b) pâsâda è il termine che si usa per gli edifici destinati al Sangha, quindi non tanto una “reggia”, quanto piuttosto un grande edificio a più piani, appunto un palazzo. 

(14) La confusione sull’effettiva situazione della famiglia del Futuro Buddha è dovuta al termine “râjâ”. Questo termine originariamente indicava un capo tribale, e solo successivamente, con il crescere dell’importanza della figure del re, ha preso ad indicare anche i veri e propri regnanti. 

(15) Questo livello di concentrazione e il livello imparato dal suo primo maestro furono incorporati nell’insegnamento del Buddha, rispettivamente, come il quarto e il terzo arûpa-jjhâna o “assorbimenti senza forma”, cfr. Nyanatiloka, p. 83.  

(16) Il termine “dîpa” viene comunemente tradotto con “isola”. Però io ritengo che l’immagine della “lampada”, dinamica, interdipendente e simbolica (di saggezza) sia più espressiva del messaggio del Buddha, rispetto all’immagine di isolamento di un “isola”. E mi chiedo anche se la gente nell’India centrale avesse effettivamente familiarità con le isole.  

 

ABBREVIAZIONI

A.: Anguttara Nikaya

D: Digha Nikaya

Dh.Dhammapada

It.Itivuttaka

J.Jataka

LoB: Life of Buddha, Nanamoli Thera

M.: Majjhima Nikaya

S.Smayutta Nikaya

Sn.: Sutta Nipata

Ud.: Udana

Vin.Vinaya

 

BIBLIOGRAFIA

Testi canonici in Pali nella traduzione inglese della “The Pali Text Society”

Anguttara Nikaya: The book of the Gradual Sayings, F. L. Woodward and E. M. Hare (trans.), 5 vv., 1932-36

Buddhavamsa: Chronicle of Buddhas, I.B. Horner (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part. III, 1975.

Cariyapitaka: Basket of Conduct, I.B. Horner (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part. III, 1975.

Digha Nikaya: Dialogues of the Buddha, T.W., and C.A.F. Rhys Davids (trans.), 3 vv., ristampa 1971, 1973.

Itivuttaka: As it Was Said and Udana; verses of Uplift, F. L. Woodward (trans.) 1935.

Jataka-nidana: The Story of Gotama Buddha, N.A. Jayawickrama (trans.), 1990.

Anguttara Nikaya: The Book of the Gradual Sayings, F. L. Woodward and E. M. Hare (trans.), 5 vv., 1932-36.

Buddhavamsa: Chronicle of Buddhas, I. B. Horner (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part III, 1975.

Cariyapitaka: Basket of Conduct, I. B. Horner (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part III, 1975.

Digha Nikaya: Dialogues of the Buddha, T. W. and C. A. F. Rhys Davids (trans.), 3 vv, ristampa 1971, 1973.

Itivuttaka: As it Was Said and Udana: Verses of Uplift, F. L. Woodward (trans.), 1935

Jataka-nidana: The Story of Gotama Buddha, N. A. Jayawickrama (trans.), 1990.

Majjhima Nikaya: Middle Length Sayings, I. B. Horner (trans.), 3 vv., 1954-59.

Petavatthu: Stories of the Departed, H. S. Gehman (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part IV, 1974.

Samyutta Nikaya: The Book of the Kindred Sayings, C. A. F. Rhys Davids and F. L. Woodward (trans.), 5 vv., 1917-30.

Sutta Nipata: The Group of Discourses, K. R. Norman (trans.), with alternative translations by I. B. Horner and Ven. Walpola Rahula, 1984.

Theragatha: The Elders’ Verses I, K. R. Norman (trans.), 1969.

Therigatha: The Elders’ Verses II, K. R. Norman (trans.), 1971.

Vimanavatthu: Stories of the Mansions, I. B. Horner (trans.), in The Minor Anthologies of the Pali Canon, Part IV, 1974.

Vinaya Pitaka: The Book of the Discipline, I. B. Horner (trans.), 5 vv, 1938-52.

Testi Canonici tradotti presso altre case editrici

Anguttara Nikaya: Numerical Discourses of the Buddha, Nyanaponika Thera & Bhikkhu Bodhi, Altimira Press, 1999

Dhammapada: The Dhammapada, Narada Thera (Pali ed. and trans.), B. M. S. Publication, np., 3rd ed. 1978.

Digha Nikaya: Thus Have I Heard, M. Walshe (trans.), Wisdom Publications, London, 1987.

Itivuttaka: The Itivuttaka, John D. Ireland, Buddhist Publication Society, Kandy, Sri Lanka, 1991.

Majjhima Nikaya: Treasury of the Buddha’s Words (partial translation), B. Nanamoli, Mahamakut Rajavidyalaya Press, Bangkok.

Majjhima Nikaya: The Middle Length Discourses of the Buddha, Bhikkhu Nanamoli and Bhikkhu Bodhi, Wisdom Publications, Boston, 1995.

Samyutta Nikaya: The Connected Discourses of the Buddha (2 vv.), Bhikkhu Bodhi, Wisdom Publications, Boston, 2000.

Sutta Nipata: The Sutta-Nipata, H. Saddhatissa, Curzon Press, London, 1985.

Vinaya Pitaka: Vinaya Texts (partial translation), T. W. Rhys Davids and H. Oldenberg (trans.), 3 vv, (ristampa) Motilal Banarsidass, Delhi, 1974.

Udana: The Udana, John D. Ireland, Buddhist Publication Society, Kandy, Sri Lanka, 1990.

Altre pubblicazioni

Gombrich, Richard F.; Theravada Buddhism, Routledge & Kegan Paul, London, 1988.

Harvey, Peter; The Selfless Mind; Curzon Press, 1995

Khantipalo, Bhikkhu; Banner of the Arahants, Buddhist Publication Society, Kandy, 1979.

Id, Buddha, My Refuge, Buddhist Publication Society, Kandy, 1990.

Malalasekera, G. P.; Dictionary of Pali Proper Names;, 2 vv., (ristampa), Oriental Books Reprint Corporation, New

Delhi, 1983. Nyanaponika Thera; The Heart of Buddhist Meditation, Rider, London, 1987.

Nyanatiloka; Buddhist Dictionary, Buddhist Publication Society, Kandy, 1980.

Rahula, Walpola; What the Buddha Taught, Gordon Fraser, London, 1982.

Rhys Davids, T. W. and W. Stede; Pali-English Dictionary, (ristampa) Oriental Books Reprint Corporation, Delhi, 1975.

Saddatissa, H.; The Sutta-Nipata, Curzon Press, London, 1985.

Walshe, M.; Thus Have I Heard: The Long Discourses of the Buddha, Wisdom, London,1987.

Winternitz, M.; A History of Indian Literature, Motilal Banarsidass, Delhi, 1988.

Pubblicazioni specifiche sul Buddha

Carrithers, M.; The Buddha; Oxford University Press, Oxford, 1983.

Jayawickrama N. A.; Jataka-nidana: The Story of Gotama Buddha, PTS, 1990.

Khosla, S.; The Historical Evolution of the Buddha Legend, Intellectual Publishing House, New Delhi, 1989.

Nanamoli, Bhikkhu; The Life of the Buddha, Buddhist Publication Society, Kandy, 1972.

Saddhatissa, H.; The Life of the Buddha, Unwin Paperbacks, London, 1981.

Schumann, H.W.; The Historical Buddha, Arkana, London, 1989.