del venerabile Ajahn Liem Thitadhammo
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Traduzione di Roberto Paciocco.
Riassunto di un discorso di Dhamma offerto sabato 21 maggio 2011, la sera prima della celabrazione del Wesak, da Luang Por Liem nel monastero buddhista di Amaravati. Adattamento dalla traduzione inglese scritta e riferita da Ajahn Kevali durante il discorso in lingua thailandese.
(tratto da Forest Sangha Newsletter 2012, numero 91)
OGGI CI TROVIAMO INSIEME in un posto adatto alla serenità. Possiamo vedere che la natura ci sta offrendo la pace proprio in questo momento. Se ci relazioniamo ad esso con una mente disingannata e priva di idee preconcette o di illusioni, possiamo pervenire ad isolare la mente in un luogo tranquillo e sereno che, in questa vita, ci fa sentire spalleggiati. Vi è la sensazione di sentirsi a proprio agio. Vivere in un posto adatto è detto sappāya, o come dicono in thailandese, sabai – una situazione nella quale ci si può sentire rilassati e felici.
Il Buddha chiamava questa sensazione di isolamento e tranquillità viveka. È la sensazione di essere lontani dai problemi che possono sorgere dalla nostra esperienza, di essere nel momento presente, non turbati da esperienze legate al passato e già trascorse e non preoccupati per ciò che verrà nel futuro. Poggiamo completamente nel presente, qui ed ora, in questo momento.
Fondarsi nel presente, basarsi nel momento presente è un qualcosa di completo in sé e che non manca di nulla. Non vi è alcun ostacolo. Non vi è nulla che possa disturbarci, se siamo fondati in cosa sta avvenendo qui ed ora. Però, essere del tutto presenti in questo modo richiede alcune abilità. È necessario imparare progressivamente come coltivare la consapevolezza. Altrimenti, essere semplicemente qui ed ora potrebbe non favorire la pace come dovrebbe. Abbiamo perciò bisogno di prendere in considerazione questo argomento per migliorare la nostra capacità di essere consapevoli, presenti.
Un essere umano, se osserva le cose senza ostruzioni, è in una condizione realmente favorevole e di aiuto per comprendere e sviluppare la vita. È come se luce e fulgore giungessero in essere e sorgessero grazie alla nostra corretta comprensione, attraverso la retta visione che siamo in grado di coltivare come esseri umani. Come dice il Buddha: «Natthi paññā sammā ābhā – non vi è luce uguale alla saggezza». La saggezza, o retta visione, sorge mediante l’essere presenti, perché è nel presente che tutte le cause e gli effetti si incontrano. Vivere nel presente con consapevolezza è perciò davvero in grado di favorire la coltivazione delle qualità benefiche.
Oggi ricordiamo il sorgere di un essere umano speciale che compiutamente vide e comprese, che ebbe totale consapevolezza e conoscenza delle cose così come sono – conobbe la vita in un modo tale che egli trovò in se stesso vera calma e pace. L’essere la cui nascita commemoriamo oggi è convenzionalmente chiamato Buddha, anche se ciò che realmente ricordiamo è il sorgere della vera conoscenza in questo mondo.
Buddha è un nome che si traduce come «colui che conosce e vede», che ha completa consapevolezza: il Risvegliato che conosce e vede. Colui che Conosce – Poo Roo in thailandese – è in riferimento alla qualità della consapevolezza. Conoscere e vedere da questo stato di consapevolezza è per noi un grande supporto, proprio come nella nostra vita la superficie del nostro pianeta ci sostiene consentendoci di stare in piedi, di sedere, di camminare e di sdraiarci. Noi siamo sempre fondati in un modo di vedere il mondo con consapevolezza, comprensione e chiara visione delle cose.
Conoscere e vedere significa avere presenza mentale, sati, una qualità innata negli esseri umani che rende possibile alla vita di essere benefica. Il Buddha menzionò sati e sampajañña come i due dhamma più utili e li chiamò «dhamma che sono di grande aiuto e supporto». Sati significa presenza mentale e sampajañña chiara consapevolezza. Queste due qualità sorgono quando siamo nel momento presente, quando stiamo “facendo il nostro dovere”, prestando attenzione e coltivando la comprensione del mondo e della vita. Sono dhamma che fanno sorgere la retta visione e la retta comprensione.
Rammentare la nascita, l’illuminazione e la morte del Buddha mostra il grande sviluppo lungo il sentiero verso la meta finale della pace, la fresca ombra della calma in una vita umana. Tutto ciò a causa degli sforzi incessanti, vigili e attenti di un essere umano nel suo relazionarsi con il mondo. Questo mondo è composto sia da fenomeni esterni, come il corpo, della cui salute e dei cui aspetti fisici dobbiamo prenderci cura, sia da qualità interne che noi chiamiamo namā dhamma, le qualità della mente. Il nostro compito consiste nel relazionarci ad entrambi in modo sano, senza far sorgere pericoli e svantaggi.
Il modo in cui ci relazioniamo con il mondo è più o meno focalizzato sui nostri sentimenti ed emozioni, sulle nostre inclinazioni mentali nei riguardi di esso (ārammana), siano esse positive o negative. Il Buddha se ne occupò nei suoi insegnamenti come kāmasukhallikānuyogo, essere legati ai piaceri sensuali del mondo, attakilamathānuyogo, essere legati alle negatività del mondo. Il Buddha descrisse negatività e positività come due estremi, che se seguiti ci condurranno in un luogo inferiore. Sono gli stati mentali di un puthujana, un non illuminato, un essere terreno. Un Essere Nobile, Illuminato, non segue questi sentieri negativi o positivi.
Per comprendere i fenomeni che sorgono nel mondo della nostra mente, le nostre emozioni e sentimenti, abbiamo bisogno di presenza mentale, di osservare attentamente e vedere la corrente di cambiamento nel mondo e come essa ci faccia costantemente provare diletto e felicità oppure tristezza e negatività. Noi comprendiamo: le cose che scorrono via con noi nel mondo, anche il diletto e la felicità, sono limitate, non sono la via perfetta. Vediamo che camminare sulla via del mondo, dilettarci con le cose piacevoli non significa tranquillità. Si incrementano calore e vapore. I piaceri dei sensi che le persone trovano attraenti sono invero un accumulo di una sensazione di calore e di agitazione. Essere legati al mondo sensuale ed infatuati di esso non conduce alla libertà. Si potrebbe dire che ci si lega ad una errata comprensione (micchā ditthi), una maniera poco abile di relazionarsi al mondo. Questi modi di vedere lo dominano. Essere trasportati via dai piaceri dei sensi in virtù dell’errata comprensione è ciò che, per la maggior parte delle persone, in realtà governa il mondo.
Così, abbiamo bisogno di incrementare una solida base per vedere attraverso queste cose, di sviluppare quella stabilità ed austerità che il Buddha chiamava tapa, un’austerità o un certo qual ascetismo nella nostra pratica. Allora possiamo osservare il mondo in una maniera che ci consente immediatamente di vedere l’oscillazione degli umori e delle emozioni della nostra mente. Osserviamo come la nostra mente reagisce e si relaziona al mondo e comprendiamo come darle sollievo e farla rilassare da tutte le sue passioni. Lo facciamo fondando noi stessi nella consapevolezza.
Presenza mentale e chiara comprensione hanno anche bisogno di una solida base, di un qualcosa su cui fondarsi, al fine di essere in grado di assolvere al loro ruolo, che è quello delle due tra le più importanti qualità che conducono al risveglio. Per fondare noi stessi nella presenza mentale, il Buddha ci consiglia di partire con il mondo fisico – rupā-dhamma – per indirizzare la nostra presenza mentale nei riguardi di questo corpo, il corpo che tutti noi conosciamo come una “carcassa lunga un braccio”, con una certa lunghezza, larghezza e peso. Possiamo contemplarlo come semplicemente facente parte della natura, con tutte le sue componenti ed i suoi elementi che sorgono e svolgono naturalmente i loro compiti.
Come tutti noi sappiamo, la terra sorge naturalmente, come fanno l’acqua, il fuoco e il vento. Sono tutti elementi in accordo con la natura, i quali si combinano insieme e formano qualcosa che noi poi chiamiamo corpo. Una parte della nostra pratica consiste nel focalizzare la nostra consapevolezza e presenza mentale sull’apparenza fisica della vita, vedendo che il corpo non è nient’altro che il corpo, che in se stesso non è nient’altro, nulla di più. Vedendo che il corpo è semplicemente una forma fisica della natura, sviluppiamo la qualità di distanziare noi stessi da esso, di sentirci isolati e staccati dal corpo, che è chiamato kāyaviveka. Vediamo che la natura fa solo il suo dovere: semplicemente, tutte le cose sorgono, esistono e cessano. Comprendendo questo processo della natura sperimentiamo la pace della mente. Sperimentiamo una riduzione del calore e un alleviamento delle illusioni che di norma trasportano i nostri umori verso l’attrazione e l’avversione.
Così, fondiamo noi stessi nella consapevolezza del corpo, per essere in grado di sperimentare una felice condizione della mente, una sensazione di benessere, né dilettandoci né provando avversione nei riguardi di nulla. Siamo in pace, rilassati e a nostro agio. Questo è ciò che intendiamo quando si parla delle qualità del Buddha come essere che conosce, che è consapevole, luminoso e radiante. Si tratta di vedere come il mondo sorge e percorrere il giusto sentiero – sugato, essere disillusi nei riguardi del mondo, senza farsi trasportare da esso, e camminare su una strada che conduce alla comprensione. Se la consapevolezza è la base per la comprensione del nostro corpo e della nostra mente, non deviamo dalla verità quale essa appare nella natura.
Conoscere e vedere in questo modo poggia sul nostro continuo sforzo di sviluppare la consapevolezza. La consapevolezza è un supporto per la pratica, il quale crea una sensazione di immunità contro i pericoli e le difficoltà del mondo. Ma ciò necessita di costante prudenza e un continuo stato di allerta, per non consentire alla nostra presenza mentale di scivolare, soprattutto quando entriamo in contatto con altri esseri umani, con i media, con altre sollecitazioni sensoriali. Allora dobbiamo stare veramente attenti. Gli āyatana – le sfere dei sensi: la facoltà di vedere, sentire, odorare, assaporare, toccare e pensare – fanno nascere al mondo. Ciò induce costantemente sensazioni di piacere e di avversione, se non stiamo attenti e non comprendiamo come le basi dei sensi, occhi, orecchie e così via, sono parte della natura e funzionano essenzialmente in accordo con essa. Vedendo le cose in questo modo, dovremmo evitare che sorgano sensazioni di piacere e di avversione. State davvero attenti con la mente e con il cuore, e comprendete come gli impulsi esterni condizionino le nostre reazioni.
Il cuore stesso – la mente – non ha forma, ma manifesta se stesso nei nostri sentimenti, di felicità e di sofferenza, nei riguardi del mondo. Abbiamo bisogno di uno sforzo cosciente per rimanere nel mezzo, per camminare sulla Via di Mezzo, senza provare diletto per le cose ed essere così proni alle illusioni, per non seguire una via che manca sempre di qualcosa, come il fuoco che non ha mai abbastanza combustibile. Dobbiamo stare davvero attenti a non perdere la nostra presenza mentale, soprattutto quando la mente esperisce oggetti che sono suscettibili di far sorgere desiderio o avversione.
Necessitiamo di una mente che si relazioni con grande cautela alle cose che sorgono nel mondo, dotata di consapevolezza e retta visione: ciò è ekayāno, la via unica, la via della presenza mentale, ove ognuno ha ekaggatā citta – una mente focalizzata su un unico punto – e non guarda al mondo nello stesso modo di un folle. Come dice un verso del Dhammapada «Etha passathimam lokam cittam rājarathūpamam yattha bālā visīdanti natthi sango vijānatam – per non essere attratti dai carri reali e dai decorati ornamenti del mondo» (Nota 1). Dovremmo stare coscienziosamente all’erta a proposito di come queste cose possano causare illusioni in noi. Dovremmo essere un po’ sospettosi e cauti in relazione ad esse, per non essere attratti e trascinati, perché questa “trazione” conduce alla sofferenza.
Un dhamma che aiuta la nostra consapevolezza consiste nello sviluppare un senso di contenimento, il samvara dhamma, essere composti e focalizzati; non disattenti, frammentati e non fondati nel presente. Ciò necessita addestramento e sviluppo di noi stessi, al fine di essere in grado di studiare e vedere le esperienze che la vita ci offre. Quale mezzo di contenimento per la nostra mente, ci focalizziamo sul respiro, pratichiamo ānāpānasati, come mezzo per costruire un’immunizzazione nei riguardi del mondo esterno. Ad esempio, il corpo ha sviluppato il suo sistema immunitario per sopportare il freddo e il caldo e restare sano. Similmente, noi sviluppiamo la nostra presenza mentale in modo ininterrotto focalizzandoci sul respiro. Consideriamo questa pratica di consapevolezza alla stregua di un metodo per restare nel momento presente senza interruzione, sia che stiamo seduti, o camminando, in piedi o sdraiati.
Ciò può sembrare piuttosto difficile e fastidioso, e se non si è abili o non si ha sufficiente esperienza può indurre un senso di frustrazione. Però, sviluppare continuamente presenza mentale rende facile adattare ed accrescere la nostra accettazione del mondo, e diveniamo progressivamente in grado di trarre beneficio dalla nostra esperienza. Siamo in grado di vedere i sankhāra – le proliferazioni e le illusioni create dalla mente – e di comprenderle come false, come una realtà inutile e finta. Vediamo le nostre passioni per il mondo delle illusioni, riducendole gradualmente guardando attraverso di esse. È come vedere un film; possiamo essere trasportati via dalla realtà che lo schermo tenta di suggerire alle nostre menti, oppure possiamo semplicemente guardare la striscia di celluloide di cui è fatto il film, osservando che in realtà non sta succedendo proprio nulla.
Così, si osserva la mente, come essa sia illusa da qualità salutari e non salutari. Noi vediamo quanto tali qualità cambino in continuazione, ma senza avere la sensazione che intorno ad esse vi è un senso di illusione. La mente, infatti, è solo la mente. Questo lo vediamo con una mente focalizzata su un unico punto, pacificata, isolata e distaccata da qualsiasi oggetto sorga in essa, che abbia sviluppato cittaviveka, l’isolamento mentale, così focalizzata ed unanime sia che si stia seduti, o camminando, o in piedi o sdraiati – praticando come il sugata, percorrendo la buona strada.
Quando diventiamo più esperti in questa pratica, nasce la luminosità. Le tenebre non hanno potere sulla luce. Devono cessare quando sono pervase da essa. Giungiamo ad un sensazione di soddisfazione interiore, senza sofferenza, totalmente imbevuti di un senso di gioia e di rapimento, una sensazione di bontà nei nostri cuori che chiamiamo pīti, un’energia che non dipende da fenomeni o illusioni esteriori: giunge dall’interno. Le illusioni di altri esseri umani non ci possono ingannare, perché siamo distaccati, isolati. Facciamo un passo indietro rispetto al mondo, con le ingannevoli creazioni degli esseri umani.
Ci sentiamo distaccati e raffreddati dall’ardore di tutte le illusioni generate dagli occhi, dalle orecchie, dal naso, dalla lingua, dal corpo e dalla mente. Raggiungiamo un senso di purezza, come di pulizia, impeccabilità, e ci sentiamo a nostro agio, si riduce il calore che di solito aumenta nelle nostre menti e si allevia l’ubriachezza che porta via gli esseri del mondo. Ci sentiamo distaccati da qualsiasi genere di fenomeno contaminato, ciò che è detto upadhiviveka, osserviamo il mondo con le qualità di un samana, un essere pacificato, le cui qualità sono quelle di vero essere umano, il che rappresenta il beneficio più grande, un beneficio che nulla al mondo potrà mai uguagliare.
La consapevolezza ha perciò un’enorme importanza nella nostra pratica ed è un qualcosa del cui sostegno e supporto abbiamo costantemente bisogno, accompagnati da un senso di sikkhā – percorrere un sentiero di addestramento che è bello all’inizio, bello nel mezzo e bello alla fine, ove nasce la bontà. L’esperienza che abbiamo quando percorriamo questo sentiero non è paragonabile a nulla di esteriore. Le vie di questa felicità interiore vanno oltre quella del mondo. «Natthi santi paramam sukham – nessuna felicità può essere paragonata con quella di una mente pacificata». Lo sperimentiamo in ogni momento e le verità della vita non possono scuotere questa felicità. Proprio come il Buddha stesso affermò: «Tutto ciò che si aggrega dovrà anche disgregarsi». Il Buddha fu in grado di affermarlo senza essere turbato. Egli poteva vedere serenamente la realtà della vita.
Oggi ci siamo riuniti per un’occasione speciale, tutti benedetti dall’opportunità di seguire il modello del Buddha, un qualcuno che conobbe veramente il mondo – il lokavidū – il Conoscitore del Mondo. Così, noi necessitiamo di conformare la nostra pratica ad un sentiero che davvero porti a conoscere il mondo. Come il tempo farà il suo dovere, passando, come è normale nel ciclo delle nascite, altrettanto noi dobbiamo svolgere oggi il nostro dovere nei riguardi della vita, vedendo il valore insito nell’essere un vero essere umano, un figlio del Buddha, e un figlio dell’Ariya Sangha – un seguace dei Nobili Esseri che raggiunsero condizioni mentali serene e davvero ottime.
Noi stiamo seguendo le orme dei Nobili Esseri ovunque ci troviamo ad andare, seguendo le buone persone in questo paese di “gentiluomini” (Nota 2), facendo nascere la luce ovunque si trovi l’oscurità. Tutti sappiamo che ovunque si trovi la sporcizia vi è bisogno di pulizia e purezza e, allo stesso modo, ovunque ci siano condizioni di oscurità vi è necessità di luce. Non può essere che esistano solo dukkha e sukha – sofferenza e felicità. Ci deve anche essere un posto nel quale non ci siano né l’una né l’altra. Come disse il Buddha, «nessun’altra felicità eguaglia la felicità che è oltre la felicità e la sofferenza».
Oggi volevo offrirvi alcune riflessioni che consentano di vedere il valore di un vero essere umano, uno che si assume il compito di sviluppare appieno il proprio potenziale umano. «Essere un essere umano è uno dei più grandi vantaggi». Infatti, si tratta davvero di un qualcosa di molto speciale, e tutti noi abbiamo l’opportunità di contemplare questo sentiero che tutti noi possiamo percorrere. Vi porgo con tutto il cuore il mio augurio che quanto da noi creato attraverso la nostra pratica sia di supporto alle nostre facoltà, ai nostri potenziali e ai nostri valori spirituali, così che tutto ciò possa essere di supremo aiuto per conseguire la felicità della pace e la realizzazione della liberazione.
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Nota 1: Dhammapada per la contemplazione. Una versione di Ajahn Munindo: «Vieni, contempla questo mondo. Guardalo: è un carro addobbato a festa. Vedi come gli stolti sono rapiti dalle proprie idee mentre il saggio non nutre attaccamento» (v. 171).
Nota 2: Nel testo “gentle-men”, poiché nel discorso si trattava di un riferimento all’Inghilterra, con la sua cultura fondata sulla cortesia e sulla buona educazione, conosciuta in in thailandese come Mueang Poo Dee.