del venerabile Ajahn Sucitto
© Ass. Santacittarama, 2010. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Federico Petrangeli
Da un discorso trasmesso da BBC Radio, il 4 febbraio 2003.
COME SAREBBE SE… contemplando i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre sensazioni, e osservando le loro cause e i loro effetti, potessimo stabilire agio e fiducia nella vita?
Come sarebbe se… senza credenze, senza opinioni o ideologie, potessimo comprendere come nascono le nostre tensioni e le nostre frustrazioni, e mettervi fine?
In ogni modo, visto che quella che stiamo vivendo è la nostra vita, è comunque il caso di dedicarci un po’ di attenzione. Perché non risvegliarsi completamente a ciò che accade, dentro di noi e intorno a noi?
Esplorando queste possibilità, milioni di persone in tutto il mondo utilizzano gli insegnamenti del Buddha. Alcuni rifuggono dal definirsi buddhisti, ritenendo che questa etichetta possa compromettere l’autenticità della loro ricerca. Da un punto di vista buddhista non c’è niente di male: la cosa fondamentale è ascoltare gli insegnamenti del Buddha, riflettere su di essi, metterli in pratica e coglierne i risultati. Questi insegnamenti, che sono chiamati Dhamma, possono essere paragonati a delle medicine, e ciascun praticante può scegliere la medicina di cui ha bisogno, in relazione al problema di cui necessita la cura. Ma ciò che unifica gli insegnamenti del Dhamma è che sono tutti aspetti delle Quattro Nobili Verità, cioè dukkha (la sofferenza), la sua origine, la sua cessazione e il percorso che conduce alla sua cessazione. Questo percorso è chiamato il Nobile Ottuplice Sentiero.
Gli otto fattori di questo Sentiero sono: Retta Comprensione, Retta Aspirazione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza e Retta Concentrazione. Fornirò più avanti maggiori dettagli su questi fattori, ma la cosa più importante è che essi costituiscono un modo di vivere. Non sono concetti filosofici, credenze o descrizioni di una verità ultima o di una qualche divinità. Essi conducono al Risveglio alla Verità Ultima, ma non la definiscono. La grande realizzazione del Buddha è che l’esperienza della verità ultima non è altro che la cessazione di dukkha, la sofferenza. E dukkha, sia essa depressione, ansia, frustrazione o un più generale senso di inutilità, riguarda tutti noi, nel qui ed ora delle nostre vite. Non è una questione di credenze. E nemmeno bisogna credere, nel Buddhismo, che ci sia una cosa come “la liberazione” o come “la Verità Ultima”: metti fine alla sofferenza e alle tensioni, e conoscerai la verità da te stesso.
L’approccio buddhista privilegia l’esperienza diretta; e in questa prospettiva la prima cosa cui prestare attenzione è quale sia l’origine dei nostri dolori più profondi, così come del nostro più sicuro senso di benessere. Le circostanze, come le malattie o la fortuna, vanno e vengono; ciò che rimane sono le nostre condizioni interne: il senso di fiducia e di pace, o, invece, il disagio e la rabbia che ci corrodono il cuore. Se raggiungiamo la pace della mente, possiamo sopravvivere ai momenti più difficili, ma il senso di colpa, la rabbia o la depressione possono riempire di nuvole la giornata più serena. Un miliardario o un re possono essere assediati dal malessere e dalla sfiducia. Mentre un monaco senza un soldo, come il Buddha, può risiedere nell’agio e nella realizzazione. La sofferenza e la sua cessazione sono nella nostra mente e nel nostro cuore.
Mente e cuore: siamo consapevoli che sono influenzati dall’esperienza e a sua volta l’influenzano. Il Buddha spinge a prestare attenzione a questa consapevolezza, nel momento in cui si mettono in pratica i suoi insegnamenti. In un dialogo, il Buddha incoraggerebbe questo tipo di domande: come ti sentiresti se qualcuno abusasse di te, o uccidesse i tuoi amici o parenti? Questo provocherebbe sofferenza, oppure no? E com’è quando invece ti trattano con generosità e con gentilezza? E se ti comporti in un modo piuttosto che nell’altro, qual è il comportamento che produce degli effetti che ti fanno star meglio? Così, usando la tua saggezza, come è meglio che ti comporti? Procedendo con indagini come questa, il Buddha ha delineato il suo insegnamento, il Dhamma.
Per me, come per molti, il Buddhismo è iniziato con la meditazione. Mi ero appena laureato, avevo un sacco di idee e un sacco di domande sulla vita. Prima di intraprendere una qualche carriera, volevo capire cosa volessi veramente. E come raggiungerlo. Così ho viaggiato per un po’, provando questo e quello, e dopo qualche anno andai verso oriente, per confrontarmi con un percorso di ricerca spirituale. Alla fine, in Thailandia, capitai ad un incontro di meditazione, che veniva tenuto in inglese. Mi sembrò che valesse la pena di provare. L’incontro si teneva in un monastero buddhista, in una stanza dove c’erano alcune stuoie e poco altro. La stanza era illuminata da una lampada, collocata vicino all’insegnante, che sedeva di fronte a noi, accanto a una finestra. Era un occidentale, e indossava l’abito ocra dei monaci buddisti. Essendo un monastero che si trovava ai tropici, non c’erano vetri alle finestre, e così molti insetti, attratti dalla luce, entravano nella stanza. Alcuni di questi insetti, delle formiche volanti, presero a svolazzare intorno al monaco, ma notavo che lui, mentre parlava, non era affatto distratto dalle formiche che gli ronzavano intorno, e solo di tanto in tanto ne scostava con gentilezza qualcuna dal viso, appena sembrava che corresse il pericolo di entrargli in bocca. Non si agitava per nulla, allontanava gli insetti con una grande consapevolezza della loro fragilità, senza perdere il filo del discorso. Nella stessa situazione io avrei ucciso parecchie di quelle formiche, mi sarei molto irritato per la mancanza di vetri alle finestre, e avrei senz’altro dimenticato quello che stavo dicendo. Ma la tensione che mi avrebbe preso, l’avrei prodotta io stesso: le formiche volanti in effetti non erano questo gran problema. Si trattava solo di rispondere con consapevolezza alle sensazioni prodotte da evento esterno, piuttosto che reagire in maniera scomposta. Quella fu un’ottima introduzione alla meditazione, e in un senso più ampio, al Sentiero buddhista.
In parole povere, l’Ottuplice Sentiero riguarda l’etica, la meditazione e la comprensione. Applicato a quell’incontro di meditazione nel monastero buddhista, significava non uccidere le formiche volanti, rimanere con ciò che stava accadendo, e reagire con consapevolezza, lasciando andare la tensione. In teoria era molto facile, ma capivo che avevo proprio bisogno di un po’ di pratica. La meditazione ci conduce dove siamo più sensibili, che è proprio dove tendiamo a reagire in modo cieco. Per rispondere con chiarezza all’esperienza, dobbiamo fissare delle linee guida. Il fondamento di queste linee guida è la Retta Comprensione.
La Retta Comprensione è il riconoscimento che quello che facciamo è importante. Non viviamo in un universo predeterminato, le nostre azioni hanno degli effetti. Possiamo essere fonte di beneficio o di sofferenza per noi stessi e per quelli che ci sono vicino. E non si tratta tanto di una obbligazione morale. E’ che se sviluppiamo la chiarezza e la gentilezza, possiamo vivere con una mente chiara e gentile. Se invece manteniamo il pregiudizio e l’indifferenza, diventeremo più limitati e insensibili. Possiamo agire con chiarezza ed essere in pace con noi stessi, oppure possiamo agire in maniera compulsiva, e rimanere intrappolati. Perché la compulsione porta a comportamenti ripetitivi, e alla perdita di ogni autorità. La Retta Comprensione significa riconoscere che l’integrità deve essere il centro della propria vita. E ciò genera una grande forza.
La Retta Aspirazione, anche detta Retta Intenzione, deriva da questa comprensione della legge di causa ed effetto. Significa far propria l’intenzione di realizzare effetti salutari con il corpo, la parola e la mente, e di evitare gli effetti non salutari. Questo è il fondamento degli insegnamenti sull’azione, o kamma, come è chiamato nel Buddhismo, di cui l’intenzione mentale è l’agente. Siccome le azioni del corpo e della parola procedono dagli stati mentali e dalle emozioni, se riusciamo a mantenere la chiarezza nella nostra mente e nel nostro cuore, possiamo anche agire da una posizione di equilibrio, e siamo in grado di discernere i risultati delle nostre azioni. Questo è il caso della Retta Parola e della Retta Azione. Abbandoniamo gli inganni, rifuggiamo dal prendere ciò che non ci appartiene, evitiamo la violenza, e invece coltiviamo l’onestà e le parole che hanno valore. I Retti Mezzi di Sostentamento consistono nell’evitare determinate attività come il commercio delle armi, la prostituzione, la macellazione degli animali. Più in generale questo fattore riguarda il modo in cui condividiamo la vita gli uni con gli altri. La nostra relazione con gli altri influenza profondamente la nostra mente, e per questo in diverse occasioni il Buddha ha dato grande importanza alla relazione moglie-marito, al modo di essere genitori, a norme di mutuo supporto tra lavoratori e datori di lavoro, così come ai benefici dell’amicizia.
Per me questi aspetti del Sentiero sono stati tutt’uno con la decisione di passare un periodo di ritiro in un monastero e, in seguito, con la decisione di intraprendere il percorso monastico. E così come la moralità e la meditazione, anche l’amicizia assume una grande importanza. L’insegnante e gli altri monaci sono gli amici che ti sostengono nella pratica con la loro compagnia; i fedeli laici sono gli amici che provvedono all’incoraggiamento, così come al cibo e al sostentamento dei monaci e delle monache. Dall’altra parte la comunità monastica sostiene la comunità laica con gli insegnamenti e con l’esempio. E’ una micro-società basata sul mutuo rispetto, sulla compassione e sulla generosità.
La Retta Comprensione, il Retto Sforzo e la Retta Consapevolezza sono alla base di ogni altro fattore del Sentiero. Facciamo l’esempio della Retta Parola: si inizia con la Retta Comprensione, riconoscendo che il modo in cui si parla influenza gli altri. Possiamo portare qualcosa di valore nella mente di chi ci sta vicino, con un’osservazione appropriata, o possiamo invece rovinargli la giornata. Possiamo rimanere nel disagio e nella sfiducia, o invece risiedere nell’apertura e nella pace della mente. Da qui il Retto Sforzo, che significa l’impegno a guidare le proprie azioni; mentre la Retta Consapevolezza implica l’essere pienamente con quello che facciamo e diciamo, e con le sue conseguenze. E il risultato è che evitiamo la sofferenza e partecipiamo a qualcosa che produce un beneficio immediato. Questo è il processo dell’intero Ottuplice Sentiero.
La consapevolezza e l’ultimo fattore del Sentiero, la Retta Concentrazione, ci conducono nel campo della meditazione, della coltivazione della presenza mentale. Questi fattori sono spesso ciò che colpisce di più nel Buddhismo, perché forniscono un potente mezzo di approfondimento della propria vita interiore, offrendo la possibilità di raggiungere una grande serenità, una grande gioia, e la pace incondizionata che viene chiamata Nibbana. E l’approfondimento inizia e si mantiene con la presenza mentale, che consiste nell’essere semplicemente e puramente presenti a quello che succede.
Se torno indietro a quel primo incontro di meditazione, in Thailandia, ricordo che il monaco ci diede qualche consiglio su come sedere eretti, in uno stato di attenzione rilassata, e su come iniziare a prestare attenzione alle sensazioni che accompagnano il processo del respiro. Ricordo che non riuscivo a seguire più di uno o due respiri, prima che la mia mente riprendesse a vagare, a fluttuare su un’onda di speculazioni, di ricordi e di analisi. Ogni momento dovevo riportare l’attenzione al respiro, e riuscire a mantenercela per qualche secondo, prima che una nuova marea di pensieri la sommergesse. E del resto questo è più o meno quello che capita normalmente nella meditazione di un principiante. Nonostante questo, quello che mi colpì profondamente era il fatto che stessi osservando la mia mente. E questo, stranamente, portava pace, e mi rassicurava anche: in qualche modo non dovevo comprendere nulla al di là dei miei pensieri, o al di là della mia mente. Era qualcosa che semplicemente succedeva. E allora: se io stavo osservando la mia mente, chi ero io? E di chi era quella mente?
Il Buddha ha sempre detto che a domande come queste non c’è risposta. Qualsiasi cosa possiamo pensare o dire di essere, è solo un altro evento che passa attraverso la nostra mente. Il punto è che c’è sempre questa presenza mentale, e tutto ciò che la attraversa è in continuo cambiamento, e non è ciò che siamo. Ma più ci centriamo su questa presenza mentale, magari facendovi aiutare da un punto focale, come la sensazione del respiro, più possiamo sentirci stabili, e vedere le cose chiaramente. Possiamo lasciar andare gli impulsi e le sensazioni che sorgono, oppure, come ho imparato più tardi, possiamo focalizzarci su di esse e lasciare che la stabilità della consapevolezza le riduca ad armonia. Che è quello che succede. E’ così: con la pratica possiamo mettere fine alla continua lotta con il nostro corpo e con i nostri stati d’animo, e questa condizione inizia a pervadere il nostro corpo e il nostro stato d’animo, calmando l’uno e l’altro. Prestare attenzione al momento presente è consapevolezza, e il risultato, una stabilità che pervade il corpo e la mente, è la concentrazione, o samadhi. Samadhi non è una stato che in qualche modo dobbiamo produrre, ma piuttosto una condizione di unità, centrata e piacevole, che sorge come risultato della Retta Comprensione, del Retto Sforzo e della Retta Consapevolezza.
Anche se la pratica della presenza mentale e della concentrazione porta un grande rimedio, in termini di liberazione dal dolore, dalle preoccupazioni e dagli stati d’animo ossessivi, c’è un ulteriore sviluppo: la comprensione che libera il praticante dalla sorgente stessa della sofferenza. Questa comprensione, chiamata visione profonda, ci permette di cogliere la natura effimera di quello che accade, e nello stesso tempo ci mette in contatto con una presenza che è invece stabile e affidabile, e cioè la consapevolezza stessa. Provando tutto ciò, piano piano, si produce inavvertitamente un cambiamento: il nostro centro muove verso la pura consapevolezza. Nella vita di tutti i giorni, partendo da questa consapevolezza, possiamo agire con compassione e con chiarezza, e, nella meditazione, possiamo lasciar placare tutti gli eventi, e stare in una presenza luminosa e senza ostacoli. Questo conduce al Nibbana, il compimento dell’Ottuplice Sentiero. E se si arriva a provarlo, anche per un solo istante, non si è più presi dalla smania o dall’apatia; non c’è frustrazione, non c’è necessità di difendersi, non c’è niente da provare. E’ semplicemente la fine della sofferenza e della tensione.
Per me, personalmente, questa è la migliore opportunità che la vita possa offrire. Ma, come raccomandava il Buddha, sta a ciascuno di noi di sperimentarlo da se stesso.
Vorrei dedicare tutti i benefici che possano sorgere da questo discorso al mio primo insegnante, Phra Alan Nyanavajiro.