del venerabile Ajahn Sumedho
© Ass. Santacittarama, 20014. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Carlo Duncan.
Pubblicato per la prima volta in inglese Novembre 1995 nel Buddhism Now
Quando ci succede qualcosa di spiacevole, se ci diciamo, “Bé, sai, così vanno le cose …!” non è vedere la Realtà. E’ solo una frase cinica. “La vita è proprio una tragedia, dobbiamo farcene una ragione e basta”. Equivale a rassegnarsi alla miseria, ma non è la Realtà, a meno che non si consideri la realtà del riconoscerci questo nostro specifico atteggiamento. O quando guardiamo al passato come qualcosa di molto reale, potremmo pensare: “Per dieci anni sono stato monaco”, “sono monaco da ventotto, ventinove anni”. Questa è la realtà convenzionale, ma significa anche pensare che siamo stati qualcosa per ventott’anni. In effetti è solo una memoria che viene percepita nel presente. Quando guardiamo attentamente alla memoria, in essa non c’è più una persona, c’è solo un ricordo nel presente.
Stabiliamo questa consapevolezza nel presente col Dhamma, con la visione delle cose così come sono, invece di permettere alle memorie del passato di corromperci, disturbare e influenzare il momento presente. Coloro che si portano appresso le cose nella mente distorcono di continuo la realtà del presente con attaccamenti e atteggiamenti. Da ciò risultano i problemi del mondo: dai risentimenti, dalle delusioni e sofferenze, dalle vicissitudini del passato. Quando non abbiamo una corretta visione del presente ci limitiamo a proiettare o immettere nel presente stesso tutta una serie di cose dal passato. Solo quando iniziamo ad accorgercene riusciamo a praticare rivolgendoci al silenzio, ritrovando un luogo sgombro e consapevole, nella concreta realtà del momento. La tendenza delle emozioni è quella di impedircelo. Le emozioni hanno il potere di essere molto convincenti, ci fanno sentire che sono reali e importanti.
Anni fa, negli anni cinquanta, c’era un film su una donna destinata al patibolo. Era tratto dalla storia vera di una donna americana condannata alla sedia elettrica. L’attrice era Susan Hayward, molto popolare a quel tempo, ben nota per le sue performance melodrammatiche, in cui si immedesimava perfettamente. E qui interpretava la donna destinata all’esecuzione. “Non voglio morire” era il titolo della pellicola [NdT]. Come da copiane, Susan Hayward riusciva a recitare questa frase con grande emotività. Persino ora ricordo come allora, nonostante fossero gli anni ’50, Susan Hayward che urla “NON VOGLIO MORIRE!” Diventando un’impressione indelebile nella mia mente.
Durante la mia vita monastica in Thailandia, prima di giungere in Inghilterra, stavo in uno dei nostri monasteri affiliati. Mentre ero lì mi sentii vicino alla morte. La voglia di continuare a vivere era scomparsa. Il tutto era di una noia tremenda, e faceva incredibilmente caldo. Intorno c’erano delle formazioni rocciose che durante la stagione calda assorbivano il calore solare, rendendo tutto rovente. Anche il cibo era deludente, e non c’era nulla a cui anelare. Giorno dopo giorno, la stessa tediosa routine.
Erano gli anni ’60, e in America gli anni ’60 e ’70 dovevano essere fantastici, mentre io ero lì in quel posto caldo. Mi sentivo morire, la mia esistenza era alla fine. E avevo una vocina interiore che mi diceva “Non voglio morire!” Era Susan Hayward che mi ripeteva “Non voglio morire! Sto buttando via la mia vita”, e tutta una serie di espressioni di grande emotività.
Le emozioni possono essere molto convincenti, potenti, come un melodramma. Mentre si manifestano, appaiono realistiche e vere. Ma già a quell’epoca, c’era ciò che si accorgeva di loro, si era già stabilita una consapevolezza delle emozioni come oggetti mentali. In questo riponevo la mia fiducia. E’ stata dura, ma avevo il mio rifugio nella consapevolezza che conosce l’emozione urlante, piangente e patetica che può essere in noi. Mi affidavo a questo rifugio anziché ai messaggi che mi fornivano le emozioni, che francamente trovavo vuote, senza consistenza, anche se avevano tutta la forza della voce di Susan Hayward, che era un’attrice molto vigorosa. Solo un’attrice, però.
Acquisire questa prospettiva è davvero molto importante e meraviglioso. Può dare una svolta al nostro percorso: cesseremo di essere irretiti dalle nostre emozioni e da quelle degli altri, di essere passivamente sballottati dagli impicci quotidiani, i messaggi urgenti, le frenesie, le aggressività e ogni cosa. Così è il mondo, una massa di intimidazioni, urgenze, situazioni molto importanti, sconvolgenti, distruttive, terribili profezie, tutta una serie di messaggi dal passato e di cose apocalittiche che potranno accaderci in futuro. Queste cose, se rimuginate, ci possono facilmente intrappolare, farci diventare ansiosi, spaventati o insicuri, facendoci così sentire minacciati da queste stesse creazioni della nostra mente.
Vedere invece le cose come realmente sono ci dà una prospettiva, senza dover sopprimere, soffocare o rifiutare nulla. E’ sempre possibile ricominciare.
[NdT] Non voglio morire (I Want to Live!) è un film del 1958 diretto da Robert Wise. La protagonista Susan Hayward fu premiata con l’Oscar come miglior attrice protagonista nel 1959. (cf. Wikipedia)