Insegnamenti

Convenzione e liberazione

del venerabile Ajahn Chah

© Ass. Santacittarama, 2015. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Dhammarato.
Terzo discorso nel libro The Collected Teachings of Ajahn Chah, Vol. I.

Le cose di questo mondo sono mere convenzioni, prodotte da noi stessi. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e rifiutiamo di lasciarle andare, facendo sorgere attaccamenti a modi di vedere e opinioni personali. Questo attaccamento non ha mai termine, è il saṃsāra, che scorre senza fine. Non ha compimento. Allora, se conosciamo la realtà convenzionale, conosceremo la Liberazione. Se conosciamo con chiarezza la Liberazione, poi conosceremo la convenzione. Questo è conoscere il Dhamma. Qui vi è compimento.

Prendete ad esempio le persone. In realtà, non hanno alcun nome, nel mondo siamo nati nudi. I nostri nomi sorgono attraverso convenzioni. L’ho contemplato e ho visto che se non conoscete la verità di questa convenzione, ciò può essere davvero nocivo. È semplicemente una cosa che utilizziamo per convenienza. Senza di essa non potremmo comunicare, non ci sarebbe niente da dire, nessun linguaggio.

Ho visto quando in Occidente siedono in meditazione. Dopo essere stati seduti insieme uomini e donne, gli occidentali quando si alzano talvolta vanno a toccarsi l’un l’altro la testa! (1) Quando l’ho visto, ho pensato: «  Eh, se ci attacchiamo alla convenzione, proprio lì nascono le contaminazioni.  » Se possiamo lasciar andare la convenzione, rinunciare alle nostre opinioni, siamo in pace.

Come i generali e i colonnelli, uomini di alto rango e con una posizione sociale, che vengono a visitarmi. Quando arrivano, dicono: «  Per favore, mi tocchi la testa.  » Se lo chiedono loro, non c’è nulla di sbagliato; sono contenti di farsi toccare la testa. Ma se sfioraste appena la loro testa in mezzo alla strada, sarebbe ben diverso! È a causa dell’attaccamento. Per questo penso che lasciar andare sia davvero la via per la pace. Toccare una testa è contro le nostre usanze, ma in realtà è niente. Quando loro sono d’accordo a farsela toccare non c’è nulla di sbagliato, proprio come quando si tocca un cavolo o una patata.

Accettare, rinunciare, lasciar andare: questa è la via della leggerezza. Dovunque ci aggrappiamo, proprio lì vi è divenire e nascita. Proprio lì sta il pericolo. Il Buddha insegnò a proposito delle convenzioni, insegnò ad annullarle nel giusto modo, e raggiungere così la Liberazione. Questa è la libertà: non aggrapparci alle convenzioni. Tutte le cose in questo mondo hanno una realtà convenzionale. Non dovremmo farci ingannare dalle convenzioni stabilite da noi stessi, perché perdersi in esse conduce davvero alla sofferenza. Questo punto a riguardo delle regole e delle convenzioni è della massima importanza. Chi riesce ad andare oltre le regole e le convenzioni, va oltre la sofferenza.

Ovviamente, le convenzioni sono una caratteristica del nostro mondo. Prendete ad esempio il signor Boonmah; prima era uno dei tanti, ma adesso è stato nominato Commissario del Distretto. È solo una convenzione, ma dovremmo rispettarla. Fa parte del mondo della gente. Se pensate: «  Oh, prima eravamo amici, era normale lavorare insieme dal sarto  », e poi andate e gli date un colpetto sulla testa in pubblico, si arrabbierà. Non lo considerebbe giusto e si risentirebbe. Dovremmo perciò seguire le convenzioni per evitare che sorga il risentimento. Comprendere le convenzioni è utile. Vivere nel mondo è tutto qui. Conoscere il tempo giusto e il posto giusto, conoscere le persone.

Perché è sbagliato andare contro le convenzioni? È sbagliato a causa della gente. Dovreste essere intelligenti, conoscere sia la convenzione sia la Liberazione. Conoscere il tempo giusto per ognuna di esse. Quando sappiamo come usare regole e convenzioni con agio, allora siamo abili. Se tentiamo di comportarci in accordo col più alto livello di realtà nella situazione sbagliata, questo non va bene. Dove si sbaglia? Si sbaglia con le contaminazioni della gente, ecco dove. Tutti hanno contaminazioni. In una situazione ci comportiamo in un modo, in un’altra situazione ci dobbiamo comportare in un altro. Dovremmo conoscere i pro e i contro perché viviamo nelle convenzioni. I problemi esistono perché la gente si attacca a esse. Se supponiamo che qualcosa esista, allora esiste. È lì perché supponiamo che sia lì. Se però osserviamo da vicino, in senso assoluto queste cose non esistono realmente.

Come spesso dico, prima eravamo laici e ora siamo monaci. Abbiamo vissuto nella convenzione “laico” e ora viviamo nella convenzione “monaco”. Siamo monaci per convenzione, non monaci a causa della Liberazione. Inizialmente stabiliamo delle convenzioni come questa, ma se riceviamo solo l’ordinazione monastica questo non significa che abbiamo superato le contaminazioni. Se prendiamo una manciata di sabbia e ci accordiamo di chiamarla sale, questo la rende sale? È sale, ma solo per il nome, non in realtà. Non potreste usarla per cucinare. L’unico uso è nell’ambito di quell’accordo, perché in realtà lì non c’è alcun sale, solo sabbia. È sale unicamente perché supponiamo che tale sia.

Questa parola, “Liberazione”, è essa stessa solo una convenzione, ma si riferisce a ciò che è al di là delle convenzioni. Raggiunta la Libertà, raggiunta la Liberazione, dobbiamo ancora usare la convenzione di riferirci a essa come Liberazione. Se non avessimo convenzioni non potremmo comunicare, qui sta la loro utilità. Ad esempio, le persone hanno nomi differenti, ma sono tutte persone allo stesso modo. Se non ci fossero i nomi per differenziarle una dall’altra e volessimo chiamare qualcuno che sta in piedi in mezzo alla folla, sarebbe inutile dire: «  Ehi, Persona! Persona!  » Non potreste sapere chi vi risponderebbe, perché sono tutte “persone”. Però, se chiamate: «  Ehi, Mario!  » sarà Mario a rispondervi, e non gli altri. I nomi servono a questo. Per mezzo di essi possiamo comunicare, sono la base delle relazioni sociali.

È per questo motivo che dovreste conoscere sia la convenzione sia la Liberazione. Le convenzioni hanno un’utilità, ma in realtà lì non c’è nulla. Anche le persone non esistono. Sono soltanto degli insiemi di elementi, nate da condizioni causali, cresciute in dipendenza di condizioni, che esistono per un po’ e poi scompaiono in modo naturale. Nessuno può opporsi o controllare questo processo. Senza convenzioni, però, non avremmo nulla da dire, non avremmo nomi, non vi sarebbe pratica, né lavoro. Regole e convenzioni vengono stabilite per darci un linguaggio e per facilitare le cose. Questo è tutto.

Prendiamo come esempio il denaro. Anticamente non c’erano monete o banconote, esse non avevano valore. La gente usava barattare i beni, ma le cose erano difficili da conservare e così inventarono il denaro, le monete e le banconote. Forse in futuro un nuovo sovrano decreterà che non dobbiamo usare valuta cartacea, ma che dovremmo usare cera, facendola sciogliere e pressandola in blocchi. Diremo che questo è il denaro e lo useremo in tutto il paese. Cera a parte, potrebbero perfino decidere che lo sterco delle galline sia la valuta locale: tutte le altre cose non potrebbero essere denaro, solo lo sterco delle galline! Allora le persone combatterebbero e si ucciderebbero a vicenda per lo sterco delle galline!

Così stanno le cose. Molti sono gli esempi che si potrebbero fare per illustrare le convenzioni. Ciò che utilizziamo come denaro è solo una convenzione da noi istituita, e l’utilità di esso vale all’interno di quella convenzione. Avendo deciso che debba essere denaro, diventa denaro. In realtà, però, cos’è il denaro? Nessuno può dirlo. Quando vi è un comune accordo su qualcosa, ecco che arriva una convenzione per soddisfare il bisogno. Così è il mondo.

Questa è la convenzione, ma far comprendere la Liberazione alla gente è davvero difficile. Il nostro denaro, la nostra casa, la nostra famiglia, i nostri figli e parenti sono solo convenzioni da noi inventate, ma in realtà, viste alla luce del Dhamma, queste cose non ci appartengono. Nel sentirlo forse non ci sentiamo molto bene, ma questa è la realtà. Queste cose hanno valore solo grazie a convenzioni affermate. Se stabiliamo che ciò non ha valore, allora non ha valore. Se stabiliamo che ha valore, allora ha valore. Così stanno le cose. Nel mondo produciamo una convenzione per soddisfare un bisogno.

Perfino questo corpo non è realmente nostro, noi supponiamo solo che sia così. È davvero solo una nostra supposizione. Se cercate di trovare un reale, un sostanziale sé nel corpo, non potete riuscirci. Semplicemente, ci sono solo elementi che sono nati, continuano a vivere per un po’ e poi muoiono. Tutto è in questo modo. Non c’è nessuna reale, vera sostanza in esso, ma è giusto che se ne faccia uso. È come una tazza. A un certo punto quella tazza deve rompersi, ma fino a quando è ancora qui potete usarla e prendervene cura per bene. È per voi uno strumento. Se si rompe sono problemi e così, sebbene debba rompersi prima o poi, dovreste cercare di fare tutto il possibile per preservarla.

Noi abbiamo i quattro beni di prima necessità (2) che il Buddha ci insegnò a contemplare continuamente. Sono dei beni indispensabili, dai quali un monaco dipende per continuare la sua pratica. Per tutto il tempo della vostra vita dovete dipendere da questi beni, ma cercate di comprenderli. Non attaccatevi a essi, facendo sorgere la brama nella vostra mente.

Convenzione e Liberazione sono continuamente in rapporto, in questo modo. Anche se noi usiamo una convenzione, non fate affidamento su di essa come se fosse la verità. Se vi attaccate a essa, sorgerà la sofferenza. Un buon esempio è la questione riguardante ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Alcune persone vedono quel che è sbagliato come se fosse giusto e quel che è giusto come se fosse sbagliato, ma in fin dei conti chi sa davvero cos’è giusto e cos’è sbagliato? Non lo sappiamo. Persone diverse fissano convenzioni differenti a proposito di cos’è giusto e di cos’è sbagliato, ma il Buddha assunse come direttiva la sofferenza. Se volete discutere in proposito, non vi sarà mai fine. Uno dice “giusto”, un altro dice “sbagliato”. Uno dice “sbagliato”, un altro dice “giusto”. In verità, noi non conosciamo affatto giusto e sbagliato. Su un livello utile e pratico, però, possiamo dire che giusto è non nuocere a se stessi e agli altri. Questa via realizza un fine per noi costruttivo.

Dopo tutto, regole, convenzioni e Liberazione sono semplicemente dhamma. (3) La Liberazione sta più in alto, ma tutte queste cose procedono tenendosi per mano. Non vi è alcuna possibilità di garantire che qualcosa sia senza dubbi in questo o in quel modo, perciò il Buddha disse di lasciarla semplicemente così com’è. Lasciatela essere incerta. Per quanto vi piaccia o dispiaccia, dovreste comprenderla come incerta.

Indipendentemente da tempo e spazio, l’intera pratica del Dhamma giunge a compimento dove non c’è nulla. È il posto della resa, del vuoto, della deposizione del fardello. Tutto termina qui. Non è come succede quando uno dice: «  Perché la bandiera sventola? Io dico che è a causa del vento.  » Un altro dice che è a causa della bandiera. Il primo replica che è per il vento. Queste cose non finiscono mai! È come quel vecchio indovinello: «  Che cosa viene prima, l’uovo o la gallina?  » Non c’è modo di giungere a una conclusione, così è la natura. Diciamo che tutte queste cose sono solo convenzioni, le stabiliamo noi stessi. Se le conoscete con saggezza, allora conoscerete impermanenza, sofferenza e non-sé. Questa è la prospettiva che conduce all’Illuminazione.

Addestrare la gente e insegnare a vari livelli di comprensione è davvero difficile. Alcuni hanno idee precise; tu dici loro qualcosa, ma non ti credono. Tu dici la verità e loro dicono che non è vero. «  Io ho ragione, tu hai torto.  » Queste cose non finiscono mai. Se non lasciate andare, lì vi sarà sofferenza. Vi ho già raccontato dei quattro uomini che vanno nella foresta. Sentono un “coccodé”. Uno chiede: «  È un gallo o una gallina?  » Gli altri tre insieme dicono: «  È una gallina.  » L’altro però non è d’accordo, e insiste che sia un gallo: «  Una gallina come potrebbe fare quel verso  ?» Gli altri rispondono: «  Beh, ha un becco, o no?  » Discutono e discutono fino allo sfinimento, arrabbiandosi davvero, ma alla fine hanno tutti torto. Per quanto dicano che si tratta di una gallina oppure di un gallo, si tratta solo di nomi. Noi fissiamo tali convenzioni, affermando che un gallo è in questo modo e che una gallina in quest’altro, che un gallo fa questo verso, una gallina quest’altro, ed è così che restiamo bloccati nel mondo! Ricordatevene! In effetti, se dite che non c’è né un gallo né una gallina, allora si arriva alla fine della questione. Nell’ambito della realtà convenzionale, da una parte c’è quello che è giusto, dall’altra quello che è sbagliato, ma noi non saremo mai completamente d’accordo. Discutere fino allo sfinimento non ha alcuna utilità.

Il Buddha insegnò a non attaccarsi. Come si pratica il non attaccamento? Lo pratichiamo semplicemente rinunciando all’attacca mento, ma questo è davvero difficile da capire. Ci vuole un’acuta saggezza per investigare e comprenderlo a fondo, per raggiungere davvero il non attaccamento. Se ci pensate, che le persone siano felici o tristi, contente o scontente, non dipende dal fatto che abbiano poco o tanto, dipende dalla saggezza. Ogni afflizione può essere trascesa solo mediante la saggezza, solo vedendo la verità delle cose.

Per questo il Buddha ci esortò a investigare, a contemplare. “Contemplazione” significa solo cercare di risolvere questi problemi correttamente. Questa è la nostra pratica. Come la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte: si tratta degli eventi più naturali e comuni. Il Buddha insegnò a contemplare la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte, ma alcuni non lo capiscono. Dicono: «  Che cosa c’è da contemplare?  » Sono nati ma non conoscono la nascita, moriranno ma non conoscono la morte. Chi investiga queste cose continuamente, vedrà. Avendo visto, gradualmente risolverà i suoi problemi. Anche se ha ancora attaccamenti, ha la saggezza e vede che nascita, vecchiaia, malattia e morte sono aspetti della natura, e sarà in grado di alleviare la propria sofferenza.

Non c’è poi molto a fondamento del buddhismo, vi è solo la nascita e la morte della sofferenza, ed è questo che il Buddha chiamò verità. La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza e la morte è sofferenza. La gente non vede questa sofferenza come verità. Se conosciamo la verità, allora conosciamo la sofferenza. L’orgoglio delle opinioni personali, le discussioni: sono cose che non hanno fine. Per far riposare le nostre menti, per trovare la pace, dovremmo contemplare il nostro passato, il presente e le cose che ci riserva il futuro, come nascita, vecchiaia, malattia e morte. Possiamo evitare di essere afflitti da queste cose? Anche se possiamo ancora avere qualche preoccupazione, se investighiamo fino a conoscere in accordo con la Verità, tutta la sofferenza cesserà, perché non ci attaccheremo più alle cose.

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(1) In Thailandia toccare la testa ad una persona è di solito considerato un insulto; come si vedrà appena più avanti, è però ritenuto di buon auspicio che la testa sia toccata da un monaco molto stimato.

(2) I quattro beni indispensabili di supporto ai monaci sono l’abito, il cibo elemosinato, l’alloggio e le medicine. 

(3) Il significato di dhamma, con la lettera minuscola, rinvia a “fenomeno”, “elemento”“stato mentale”, oggetto mentale”, “caratteristica”, “qualità”.